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All’Italia mancano esperti e una strategia sulla Cina. L’allarme del Merics

Sedici Istituti Confucio ma nessun dibattito sui rischi che potrebbero comportare. Nessuna linea-guida per le università su come gestire le partnership con gli atenei cinesi. L’attenzione alla Via della Seta sembra dare l’impressione che Pechino sia una priorità della politica estera per Roma. Ma la realtà è diversa, spiegano gli esperti del centro studi tedesco

In Italia ci sono 16 Istituti Confucio ma “manca un dibattito sulla loro presenza o sui rischi che potrebbero comportare”. In Italia non ci sono “nemmeno” linee guida “per le università su come gestire le partnership con le università cinesi”. È quanto scrivono gli analisti del centro studi tedesco Merics, specializzato sulla Cina, in un rapporto all’intento del progetto “Dealing with a Resurgent China” finanziato dal programma Horizon Europe dell’Unione europea.

Gli Istituti Confucio, a differenza di altri istituti di cultura (come il British Council o il Goethe Institut), non sono strutture indipendenti. Sono, infatti, il risultato di un consorzio tra due università, entrambe finanziate dal governo cinese tramite lo Hanban: una cinese e l’altra non cinese, quella che ospita la sede istituzionale. Si tratta di strutture sempre più al centro dell’attenzione in Occidente perché sospettate di fare propaganda politica e non, come dovrebbero, promozione culturale. A marzo l’Università Goethe di Francoforte aveva preso la decisione di non rinnovare l’accordo di cooperazione con l’organizzazione che sostiene l’Istituto Confucio. Al contrario, in Italia, negli stessi giorni, Vito Leccese, capo di gabinetto del sindaco di Bari, auspicava “una cornice più ampia di collaborazione istituzionale, nella quale, con il Politecnico di Bari e la South China University of Technology, stiamo ora lavorando sulla possibilità di realizzare un Istituto Confucio a Bari”.

Da un altro rapporto del Merics, diffuso la scorsa settimana, emergeva un aumento del 258 per cento delle co-pubblicazioni accademiche italo-cinesi. Al contrario, l’ultimo rapporto del Merics rivela che le collaborazioni tra università sono in forte diminuzione: erano 86 nel 2017; 97 nel 2019, anno della firma del memorandum d’intesa sulla Via della Seta; 38 nel 2020; 23 nell’anno in corso.

Quest’ultimo documento si concentra su Francia, Germania, Italia, Lituania, Polonia, Regno Unito, Spagna e Svezia. Si tratta, spiegano gli analisti, di Paesi che stanno attraversando una fase di ripensamento dei loro rapporti con la Cina dopo la pandemia di Covid-19 e l’invasione russa dell’Ucraina. Stanno diventando più pragmatici nei loro rapporti con Pechino anche se la loro capacità di affrontare rischi e vulnerabilità viene spesso limitata da un dibattito dominante sulle opportunità economiche, si legge nel rapporto. Infatti, i Paesi europei continuano a competere per le opportunità di fare affari con e in Cina e per attrarre investimenti cinesi. In particolare, i casi di Francia, Germania e Italia evidenziano la correlazione tra intense relazioni commerciali ed economiche e un alto grado di vulnerabilità. Il tutto, mentre lo spazio per un’agenda europea proattiva nei confronti della Cina, che spinga i suoi interessi economici e politici, si sta riducendo.

La decisione del memorandum d’intesa (che il governo Meloni sembra intenzionato a non rinnovare) ha riportato la Cina tra i temi del dibattito in Italia. L’attenzione riservata a quell’accordo “può dare l’impressione che la Cina sia una priorità della politica estera” in Italia, si legge. Ma “un quadro più veritiero è dato dall’assenza di una strategia per la Cina e dal poco personale dedicato alla Cina. La priorità dell’Italia in politica estera rimane il suo vicinato, in particolare la regione del Mediterraneo. Tuttavia, che l’Italia dia o meno priorità alla Cina, le questioni legate alla Cina hanno un impatto sull’Italia”, continuano gli analisti. Basti pensare ad altri due temi analizzati dal rapporto: le reti 5G (al 2022 il 51% dell’infrastruttura era “made in China” con Huawei e Zte forti dopo aver contribuito pesantemente al 4G) e le acquisizioni cinesi bloccate negli ultimi anni.


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