Lavoriamo per il meglio preparandoci al peggio. Ha ragione il centro studi Merics: l’avventura italiana nella Via della Seta non è mai stata né l’inizio né la fine di una sfida enorme. Se vogliamo dissuadere Pechino di aprire un altro fronte di guerra, urge che l’Italia affronti l’elefante nelle sue stanze. L’opinione di Laura Harth, campaign director di Safeguard Defenders
È impossibile non essere d’accordo con l’analisi del centro studi tedesco Merics, riportata su Formiche.net: all’Italia mancano esperti e una strategia nei confronti della Cina. Tuttavia, sembra mancare ancor prima la volontà di comprendere, figuriamoci affrontare, l’evidente elefante nella stanza. Si pensi alla crescente presenza degli Istituti Confucio in Italia o ai numerosi accordi e pubblicazioni congiunte nel campo accademico. Questi sono soltanto la punta dell’iceberg in un vasto intreccio che si è creato tra il nostro Paese e la Cina, coinvolgendo tutti gli aspetti della società, dal settore pubblico a quello privato, dai livelli nazionali a quelli dei più remoti e piccoli comuni. Si tratta di un intreccio cercato e promosso dalla Cina che, a differenza nostra, ha una strategia ben definita e dichiarata: preparare il mercato e il pubblico interno agli shock esterni che derivano dalla sua aggressiva agenda geopolitica. Al contempo, la Cina si impegna a aumentare la dipendenza degli altri come una leva politica contro l’Occidente, che considera nemico.
Questa stretta non avviene solamente nei campi economici e accademici. Gli stessi meccanismi di coercizione, minaccia, aggressione, violazione e inganno vengono usati nei dialoghi bilaterali e multilaterali, nei media e nello spazio cibernetico, nella strategia militare, nei diritti umani e nelle libertà fondamentali, nelle interferenze e nelle operazioni di influenza quotidiane. Questi sono tutti strumenti per dividere gli alleati occidentali, il dialogo tra Nord e Sud, nonché le opinioni pubbliche all’interno dei Paesi democratici. Tutto questo al fine di plasmare un mondo in cui la Cina possa più facilmente perseguire i suoi obiettivi e riscrivere la storia a immagine del suo partito e leader unici.
Oggi non possiamo più considerare la sovversione dell’ordine internazionale, costruito dopo la Seconda guerra mondiale, come unicamente un obiettivo ideologico, come dimostra il noto Comunicato sullo stato attuale della sfera ideologica (avviso dell’Ufficio generale del Comitato centrale del Partito comunista cinese del 22 aprile 2013. I vari fronti bellici aperti dall’asse Russia-Iran-Corea del Nord e altre dittature ed estremismi supportati dalla Cina non consentono alcuna ingenuità.
L’Italia stessa conosce bene questi meccanismi. A partire dal vasto corteggiamento di personalità e enti chiave nella nostra società, alle promesse mai mantenute (se non per qualche individuo) di ricchezze e influenza straordinarie, passando attraverso la propaganda e la disinformazione fino alle minacce e alla coercizione. L’ingresso e l’uscita dell’Iniziativa della Via della Seta rappresentano la perfetta illustrazione del sistema comunista cinese. Merics ha ragione: questa sciagurata avventura non è né l’inizio né la fine della grande sfida con Pechino. Questa intera esperienza dovrebbe essere un campanello d’allarme sul lavoro urgente necessario per rafforzare la nostra società nella già in atto guerra ibrida, destinata purtroppo a intensificarsi.
Abbiamo due alternative: possiamo continuare a ignorare l’evidenza lampante e subire le inevitabili conseguenze quando sarà troppo tardi, con un’escalation dello scenario russo moltiplicato all’infinito, oppure possiamo riconoscere l’elefante presente nelle tante – troppe – stanze della nostra società e iniziare ad affrontarlo. Come sempre, ci sarà un coro di voci che opterà per la prima opzione, minimizzando i rischi o accusando chi ne parla di essere l’istigatore di un conflitto che “Pechino non cerca e che dovremmo evitare a tutti i costi”. Questa è la famosa linea di propaganda cinese sulla “mentalità da guerra fredda”, usata contro chi guarda con occhio critico qualsiasi aspetto negativo delle sue politiche nazionali e internazionali.
Voci simili si sono alzate fino all’ultimo momento prima che la Russia di Vladimir Putin lanciasse la sua “operazione militare speciale” in Ucraina. Anche lì, coloro che avevano lanciato l’allarme furono accusati di essere bellicosi.
Siamo chiari: coloro che continuano intenzionalmente a ignorare i rischi non fermeranno l’intensificarsi del conflitto già in corso. La nostra avversione democratica alla guerra non dissuaderà Xi Jinping dalle sue ambizioni nel Mar Cinese meridionale o riguardo a Taiwan.
Fare tutto il possibile per evitare ciò che non vogliamo vedere nel mondo significa prepararci al peggio. Significa essere pronti a resistere a uno shock per garantire che la nostra società rimanga saldamente all’interno delle alleanze democratiche; significa continuare a lavorare per espandere la collaborazione e le opportunità con il Global South, in particolare con il continente africano, basandosi sul reciproco rispetto e sulla condivisione delle regole internazionali. Solo così potremo realmente dissuadere la Cina dall’aprire un altro fronte di guerra che sarebbe disastroso per l’umanità.
Al momento, in Italia non solo manca una strategia. Sembra mancare anche una comprensione minima di quanto e dove siamo esposti alle possibili ingerenze e leve di Pechino. Per mirare a un potere dissuasivo, è proprio da qui che dovremmo partire per costruire la strategia di mitigazione proposta dal presidente del Consiglio. Questa strategia, nell’attuale guerra ibrida, non può limitarsi a settori specifici ma deve comprendere l’intero spettro della società e delle istituzioni.
Poco prima delle elezioni che hanno portato all’attuale governo, l’International Republican Institute ha raccomandato l’istituzione di un coordinatore incaricato di raccogliere informazioni sull’esposizione intersettoriale dell’Italia alla Cina, di coordinare le politiche interministeriali sull’Italia nei confronti della Cina e di facilitare i dialoghi e il coordinamento con i partner alleati in merito. Questa proposta era già stata avanzata dall’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, attualmente presidente della commissione Affari europei del Senato della Repubblica, durante il congresso programmatico di Fratelli d’Italia nell’estate del 2022. È più che mai il momento di dare seguito a questi appelli finora ignorati. Lavoriamo per il meglio preparandoci al peggio.