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L’Italia come ponte col Global South. Varvelli legge i dati del sondaggio Ecfr

Per il direttore dell’ufficio di Roma dell’Ecfr, l’Italia può far leva sulla percezione “di potenza non invasiva dal punto di vista della difesa e della sicurezza” per spingere il proprio ruolo di ponte con il Global South. La percezione emerge anche dai dati di un recente sondaggio del think tank paneuropeo

“Abbiamo una serie di Paesi che non intendono allinearsi, medie potenze appartenenti al cosiddetto ‘Global South’ che non sembrano interessate a inserirsi staticamente in un campo, perché non apprezzano particolarmente gli Stati Uniti e/o l’Occidente, ma ne riconoscono un certo potere di attrazione, soprattutto perché non si vogliono mettere completamente nelle mani della Cina, e quando si trovano davanti a condizioni di scelta più o meno costretta alla fine preferiscono ancora modello e offerte occidentali”.

Arturo Varvelli, direttore dell’ufficio di Roma dell’Ecfr, commenta con Formiche.net i risultati di “Living in an à la carte world: What European policymakers should learn from global public opinion”. Un sondaggio che il think tank paneuropeo ha condotto in collaborazione con il progetto di ricerca Europe in a Changing World dell’Università di Oxford: i dati sono stati raccolti tra settembre e ottobre in undici Paesi europei e dieci extra europei.

“Per l’Italia, per lungo tempo la media potenza che ha avuto la funzione di ponte nell’area del Mediterraneo allargato, anche con Paesi complicati come Libia, Siria, Iran, ossia quelli cui l’Occidente non aveva storicamente relazioni positive, si tratta di recuperare la capacità di fare appunto da collegamento, e sfruttarla verso una parte di quel Global South. Innanzitutto quello che per esempio si trova in Africa”, aggiunge Varvelli.

I dati dell’Ecfr sono importanti per le pianificazioni dei governi europei, e confermano il ruolo di policy advisor dell’European Council on Foreign Relations, nato nel 2007 anche con questo scopo. Nello specifico del governo italiano, la rilevazioni diventa un ulteriore elemento di ragionamento per le future pianificazioni strategiche, come – restando sull’Africa – il Piano Mattei, arrivato al momento di lancio e successiva implementazione, ma anche per progetti che riguardano aree come i Balcani o il Medio Oriente. E per le relazioni con queste realtà complesse e gli equilibri in atto con le grandi potenze rivali, come Cina e Russia, e quelle emergenti e più amiche, come l’India.

Varvelli aggiunge che sulla base di quanto emerge dal sondaggio, l’Italia ha spazi per approfittare della percezione storica di neutralità che fornisce sul panorama internazionale, “di potenza non invasiva dal punto di vista della difesa e della sicurezza”. “In questo, l’idea del Piano Mattei si sposa molto bene, un modo per tornare a una politica di ponte proattiva nei confronti del Global South”. La creazione di connessioni più efficaci e funzionali con quella parte di mondo saranno tra i focus in cima all’agenda del G7 che l’Italia ospitare il prossimo anno.

”Ma è evidente che per fare ciò, l’Italia non può che rimanere ben ancorata all’Occidente, agli Stati Uniti per i temi securitari certamente, ma Roma deve anche essere più attiva all’interno dell’Unione Europea, dove dovrebbe diventare più capace di farsi da traino delle dinamiche di Bruxelles”, aggiunge Varvelli.

Per il direttore dell’Ecfr, sebbene questa “era una oggettiva difficoltà per l’attuale governo, è anche vero che sembra che si sia iniziata a capire l’importanza di tali attività: non si può fare la politica di ponte senza una delle spalle instabili”. A proposito di Europa, i dati del sondaggio sembrano anche raccontare il cambiamento di un sistema valoriale di cui finora il Vecchio Continente era il centro – in termini economici, ma anche di valori, connessi alla globalizzazione. Ora sembra in parte marginalizzato, con la scena globale che si è spostata dall’Atlantico al Pacifico: questa forza centrifuga a cui è stata soggetta l’Europa, che impatto ha avuto sulle opinioni pubbliche? Non è anche questo un elemento da tenere a mente per un Paese come l’Italia?

“Lo è: le opinioni pubbliche europee che erano al centro di un sistema culturale – risponde Varvelli – ora non lo sono più, e anche le leadership politiche ne devono tenere conto. Se prima eravamo al centro di un sistema in cui tutto sembrava protetto e i problemi collegati quasi soltanto al fluire più vellutato dei mercati, e con le guerre che ci sembravano un ricordo lontano, ora le élite politiche, i governi, le maggioranze potrebbero essere portate a compiere scelte che le collettività non apprezzano. Ma diventano necessarie, tanto per fare welfare, che per gestire il warfare, perché questo nuovo mondo che abbiamo davanti appare meno pacifico e meno improntato a una convivenza occidentalizzata”.

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