“Per l’Italia sarebbe necessario sottolineare come il mantenimento dello status quo a Taiwan è un elemento essenziale anche per il mantenimento della sicurezza italiana”. Conversazione con Stefano Pelaggi, docente della Sapienza pensando al futuro documento strategico italiano per l’Indo Pacifico
Molti a Washington stanno interpretando l’incontro della scorsa settimana tra il presidente statunitense, Joe Biden, e il leader cinese, Xi Jinping, come un segno di un avvicinamento tra le due grandi potenze (qui l’edizione di “Indo Pacific Salad” che abbiamo dedicato al summit). Quanto meno come una volontà di comunicare al fine di evitare clamorosi, enormi incidenti. Tuttavia, per quanto riguarda la questione cruciale di Taiwan, Washington e Pechino stanno mantenendo strade diverse. La retorica di Xi, seppure più controllata in questa fase, continua a suggerire una crescente impazienza nei confronti dello status quo esistente, e le sue azioni suscitano preoccupazioni ancora più gravi. Dall’altra parte Biden ha già più volte detto che in caso di azioni aggressive della Cina gli Stati Uniti potrebbero intervenire militarmente in difesa di Taipei, togliendo una velatura all’ambiguità strategica storica.
Visto che stiamo per entrare nell’anno elettorale sia americano che taiwanese, quanto accade attorno all’Isola diventa a maggior ragione tema di una riflessione necessaria anche per gli alleati europei – impegnati anch’essi in complicati contatti con Pechino – e dunque tocca direttamente le pianificazioni strategiche sia dell’Unione che dei singoli Paesi. Per esempio l’Italia, che sta lavorando alacremente all’analisi sul contesto Indo Pacifico, grazie al Comitato specifico istituito all’interno della Commissione Affari Esteri della Camera: prodromo di un documento strategico di cui Roma intende dotarsi, in linea con Berlino, Parigi, e altri europei.
Taiwan a San Francisco
L’incontro tra Biden e Xi di San Francisco era stato preparato con estrema attenzione dalle rispettive amministrazioni, tanto che i punti su cui si poteva lavorare erano stati precedentemente “risolti”, mentre si sapeva benissimo che su Taiwan non si sarebbe arrivati a nulla, spiega Stefano Pelaggi, docente della Sapienza tra i massimi esperti europei del contesto taiwanese (anche perché attivo come fellow al Taiwan Center for International Strategic Studies di Taipei). “Tuttavia, occorre osservare i toni: tutta la questione taiwanese è in qualche modo un compromesso semantico, i rapporti tra Washington, Pechino e Taipei, sono retti dalle parole usate e dai toni, e a San Francisco il tono di Xi è stato fermo sulle proprie posizioni, ma meno aggressivo del passato”.
Recentemente, durante un evento alla John Cabot University nell’ambito di una serie di appuntamenti che il professore Enrico Fardella (UniNapoli L’Orientale e direttore di ChinaMed) sta organizzando per riflettere sugli equilibri in corso tra Washington e Pechino, Pelaggi ha spiegato le origini della questione taiwanese – argomento che ha eviscerato nel suo ultimo libro, “L’isola sospesa. Taiwan e gli equilibri del mondo”. Taiwan, adagiata nel Mar Cinese Meridionale, ha una storia complessa “che si intreccia da sempre con la geopolitica”, ha spiegato il docente, e sin da 1943 – quando durante la Seconda guerra mondiale, Theodore Roosevelt, Winston Churchill e Chiang Kai-shek ne discussero il destino – è altrettanto intrecciata agli equilibri in corso tra le potenze globali.
Taiwan e l’Ue
È sotto quest’ottica che va visto il dossier anche nelle discussioni che riguardano Bruxelles e Pechino, che tra due settimane faranno una radiografia delle relazioni? Taiwan, vista la sua importanza sia sotto la dimensione commerciale che quella strategico-politica, non è un tema che dovrebbe interessare l’Ue quando parla con la Cina? “Se ci aspettavamo poco dal vertice Biden-Xi, ancora meno può succedere dall’incontro Ue-Cina: il dossier taiwanese è storicamente stato minimale nei rapporti sino-europei, non mi aspetto concessioni o apertura di qualsivoglia genere, anche perché sappiamo che i rapporti bilaterali contano molto di più di certe questioni apparentemente più laterali, e lo sa bene anche Pechino”, risponde Pelaggi.
Ora tocca a Roma?
Il docente della Sapienza recentemente è stato audito da quel Comitato Indo Pacifico della Camera, dove ha delineato il quadro delle sfide che un Paese come l’Italia – che si affaccia con interesse e circospezione alla regione. Per Pelaggi, Roma dovrebbe valutare l’opzione di concettualizzare la questione taiwanese all’interno della propria strategia indo-pacifica. Anche alla luce del quadro finora delineato, perché? “Alcuni Paesi europei hanno già inserito la questione taiwanese all’interno della loro strategia nell’Indo Pacifico, per esempio la Germania ha definito la sicurezza dell’isola ‘fondamentale’ per la sicurezza della regione, dell’Europa e dunque della Germania stessa. Anche il Regno Unito lo ha fatto, con toni molto più deciso anche visto l’Aukus. Per tale ragione, durante la mia recente audizione ho sottolineato questo elemento di complessità programmatica, ma probabilmente necessario per una strategia regionale ampia”.
La sicurezza di Taiwan è dunque un elemento essenziale per la sicurezza strategica della regione e di chiunque ne cerchi una presenza, ma di più anche degli interi affari internazionali, di cui ovviamente l’Italia, Paese del G7, è uno dei motori delle dinamiche che li movimentano. “Certamente, per questo per l’Italia sarebbe necessario sottolineare come il mantenimento dello status quo a Taiwan è un elemento essenziale per il mantenimento anche della sicurezza italiana. Per tale ragione, ho anche sottolineato che oltre che concettualizzare la questione nella possibile strategia italiana, Roma dovrebbe anche approfondire i rapporti a livello di carattere economico, commerciale e culturale, costruendo rapporti informali efficaci che possano sopperire alle limitazioni della One China Policy. Tra l’altro, visto la forte proiezione che l’Italia ha recentemente dimostrato riguardo ai Paesi della regione, Taiwan potrebbe essere anche un eccellente gateway per raggiungere il Sud-est asiatico, poiché Roma condivide con Taipei una dimensione valoriale di base, e Taipei è fortemente integrato in quel contesto”. Un concetto quest’ultimo che su Formiche.net ha sottolineato anche l’ambasciatore Vincent Tsai, a capo dell’ufficio di rappresentanza diplomatica della Repubblica di Cina in Italia.