A volte le buone intenzioni non bastano. E per quanto ci si sforzi di fare un buon lavoro, magari una manovra il più convincente possibile, non è detto che il risultato sia all’altezza delle aspettative. Non di quelle di Giorgio La Malfa, almeno. Economista, saggista, pietra angolare del Partito Repubblicano per quasi 40 anni e ministro del Bilancio nei governi Cossiga, Forlani e Spadolini, il figlio di Ugo ci pensa un momento prima di dire la sua su un anno di politica economica targata Giorgia Meloni.
La politica economica del governo Meloni. Facciamo un bilancio, ora che la manovra è finalmente chiara a tutti.
La mia impressione è che questo governo abbia portato avanti una politica prudente, senza sfidare l’Europa, sapendo che poi avrebbero perso lo scontro. Sia la manovra attuale, sia quella dello scorso anno sono improntate alla cautela. Il problema è però un altro.
Sarebbe?
L’esecutivo ha tentato in tutti i modi di mantenere le promesse elettorali, senza entrare in conflitto con l’Europa o i mercati. E non ci è riuscito. Prenda per esempio il deficit 2024, al 4,3%. Un livello che difficilmente Bruxelles accetterà. Nello sforzo disperato di mantenere la parola data, alla fine si sono creati i presupposti per una serie di guai o potenziali tali. Come si affrontano certe spese se il deficit è già alto. Non c’è capienza delle risorse, mi pare evidente. Allora, mi chiedo, ne valeva la pena?
Le posso far notare, La Malfa, che un governo che non mantiene le proprie promesse va a casa il più delle volte. E allora, Meloni aveva davvero scelta?
C’è sempre una scelta. Che senso ha scrivere che il prossimo anno cresciamo dell’1,2% quando nessuno ci crede? Non voglio parlare di leggerezza nella manovra, ma certamente c’è stato un tentativo di nascondere la gravità della situazione economica. Poteva scegliere il governo, magari chiedere dei sacrifici o ammettere di non avere i soldi per certe misure. Nonostante la prudenza di fondo, la suddetta prudenza non è abbastanza. Forse bisognava esserlo di più.
Giusto o sbagliato tagliare il cuneo fiscale?
Verità per la verità, penso che fosse la madre di tutte le promesse del governo, quindi ci sta. E poi non è il problema, il punto sono gli investimenti, i consumi. Se un esecutivo vuole far ripartire il Paese, deve mettere al centro gli investimenti, non il taglio del costo del lavoro.
Capitolo Pnrr. Entro fine anno, dice Palazzo Chigi, l’Ue potrebbe staccare l’assegno per la quarta rata. Ci crede?
Guardi, sul Pnrr siamo messi male. La Corte dei conti ha recentemente lanciato l’allarme, ha preso progetti per 31 miliardi di euro e ne ha analizzato l’andamento, parliamo di un campione significativo. Ebbene la spesa su questi investimenti è al 7%. Non le pare abbastanza per preoccuparsi? Certo, ci sono gli appalti, i tempi e non è possibile spendere tutto e subito. Ma il 7% è poco, vuol dire che in due anni bisogna spendere il 90%.
Mi scusi, ma se il governo sul Pnrr è in ritardo e sul deficit ha sforato, con una traiettoria poco angolata sul debito e sugli investimenti ha fatto troppo poco, come si spiega la calma di queste settimane dei mercati?
I mercati sono benevoli perché hanno altre preoccupazioni, come l’Ucraina o il Medio Oriente. Ma prima o poi, qualche speculatore si sveglierà e magari prenderà di mira l’Italia. Ad oggi l’Italia gode e beneficia di una relativa tranquillità sui mercati. Avendo visto poi che sulla politica economica Meloni cercava la continuità con Draghi, nessuno si è agitato più di tanto. E lo stesso vale per l’Europa. Ma ora questo effetto potrebbe svenire.
Perché l’Italia non ha ancora ratificato il Mes?
Io non ho ancora capito che cosa vuole l’Italia. Un Patto di stabilità morbido in cambio del sì? Ma quanto morbido. Guardi che le politiche economiche non si possono fare solo a deficit, questo a Roma non glielo può dare nessuno. Allora la domanda è, regole soft e va bene. Ma fino a che punto?