Skip to main content

L’approccio russo al nucleare declinato da Marrone (Iai)

L’esperto dello Iai contestualizza il recente test missilistico e le parole della leadership di Mosca all’interno di un più ampio sforzo della Russia per ribadire il suo status internazionale, perseguendo anche i propri obiettivi di politica estera

Domenica 5 novembre, la Federazione Russa ha condotto con successo il test di lancio di un missile balistico intercontinentale Bulava sparato da un sottomarino a propulsione nucleare di classe Borei. Quasi in contemporanea con la diffusione della notizia dell’avvenuto test, il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha dichiarato che il livello delle relazioni tra Russia e Stati Uniti è sceso “sotto lo zero” dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, ma che “sia noi che l’America abbiamo una responsabilità speciale per la stabilità mondiale e strategica, e in un modo o nell’altro dovremo riprendere la conversazione”. Come si collocano questi eventi all’interno del più ampio contesto internazionale? Formiche.net lo ha chiesto ad Alessandro Marrone, responsabile del programma “Difesa” dell’Istituto Affari Internazionali.

Come possiamo interpretare a livello squisitamente militare il test missilistico russo avvenuto la scorsa domenica? E la posizione geografica dove è avvenuto ha una qualche rilevanza?

Dal punto di vista tecnico-militare il test del missile balistico rientra nel programma di modernizzazione della triade nucleare russa, e in particolare della componente imbarcata sui sottomarini. Il Bulava, che è un missile balistico intercontinentale con 8000 km di raggio che può portare fino a 16 testate, non è altro che l’aggiornamento di nuova generazione di altri sistemi missilistici già in servizio nelle forze armate russe negli anni scorsi. La modernizzazione del deterrente nucleare è un processo che la Russia sta portando avanti in modo costante da vent’anni, sin dall’ascesa al potere di Vladimir Putin. L’aver condotto questo test condotto nello spazio compreso tra la regione del Kamchatcka e il Mar Bianco è abbastanza normale date le condizioni geografiche delle aree limitrofe, dove vi è una scarsa popolazione, e le esigenze logistiche dell’apparato militare russo.

Quali sono invece le implicazioni più profonde?

Quello che preoccupa è l’abbinamento di questo segnale a una seria di altri segnali che sono stati registrati dopo il 24 febbraio, dalla sospensione del trattato Start alla revoca della ratifica del trattato di bando sui test nucleari (trattato che, ricordiamo, è stato firmato ma non ratificato dagli Usa). Non bisogna guardare al singolo segnale, ma alla serie dei segnali, che suggerisce un rafforzamento della retorica nucleare, così come di una più latente (ma comunque presente) minaccia nucleare. La Russia sta segnalando di voler essere sempre meno vincolata dagli accordi presi, e vuole avere sempre più le mani libere quanto a sviluppo degli armamenti nucleari.

Il rischio di escalation nucleare è concreto?

Non troppo. La dottrina nucleare russa continua a non prevedere un impiego dallo strumento nucleare da parte di Mosca se non in caso di un attacco diretto allo stato russo. Inoltre, dopo l’inizio del conflitto, la Russia ha sottoscritto una dichiarazione congiunta assieme agli altri stati nucleari del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (Usa, Cina, Francia, Regno Unito) sul “No First Use of Nuclear Weapons”, in cui i contraenti si impegnano a non essere il primo stato in un conflitto a ricorrere all’arma nucleare. Quindi, dato che la Russia prevede l’impiego dell’arma atomica in seguito ad un primo attacco, finché questo attacco non c’è, non c’è neanche lo scenario di un’escalation nucleare.

Qual è quindi il fine di simili atti?

L’invio di questi messaggi serve a mettere sotto pressione le opinioni pubbliche occidentale, e di conseguenza i rispettivi governi, facendo leva sulla paura di escalation nucleare per ridurre il sostegno militare convenzionale all’Ucraina. È in questa logica che si inserisce il test del Bulava. Che di per sé non è un elemento dirompente, ma che va posizionato all’interno della sequenza di messaggi di cui prima. A cui si aggiungono dichiarazioni ambigue. Peskov dice che il Cremlino è pronto a riprendere i contatti se gli Stati Uniti lo vogliono, ma non dice che il Cremlino voglia riprenderli. Mentre pochi giorni prima, al Valdai Group, Putin ha ribadito che secondo lui l’Occidente non ha un interesse al compromesso. Non vedo quindi la posizione russa cambiare radicalmente né in negativo né in positivo. Vi è solo il proseguire del processo di accrescimento della retorica nucleare a scopo intimidatorio.

Possiamo interpretare questo forte stress delle proprie capacità nucleari da parte di Mosca come un modo per ribadire, nei confronti di Stati Uniti ed Europa ma anche della Cina, il suo status di potenza “internazionale” che si sogna superpotenza?

Questo è un punto interessante. Dal punto di vista demografico, economico, tecnologico e industriale, la Russia non è una superpotenza. Ha un prodotto interno lordo inferiore a quello tedesco, e una popolazione inferiore a tanti altri Paesi del mondo. Dal punto di vista tecnologico-militare convenzionale sicuramente ha delle punte d’eccellenza, ma allo stesso tempo ha anche necessità di comprare droni iraniani e munizionamento nordcoreano. Fino a pochi anni fa la Russia era un paese esportatore di armi, adesso è divenuto un paese importatore. Una dinamica che la dice lunga sullo status della Russia nel mondo. A fronte di un gigante cinese che la sorpassa in tutti i campi. La Cina sta accrescendo rapidamente l’arsenale nucleare, e non è lontano il momento in cui raggiungerà la parità atomica con la Russia, in termini qualitativi e quantitativi. Sicuramente per la Russia, che ha nella potenza del suo arsenale nucleare uno dei pochissimi punti di forza a livello globale, effettuare il test missilistico e al tempo stesso revocare la ratifica del bando dei test nucleari, vuol dire flettere i muscoli. Anzitutto nei confronti di Washington e dell’Europa: di Washington come interlocutore in termini di armamenti e a livello globale, nella speranza di portarla a tenere in considerazione le posizioni russe più di quanto abbiano fatto negli ultimi decenni; dell’Europa per intimidirli rispetto al confronto in Ucraina. E indirettamente nei confronti della Cina, per ricordarle che dal punto di vista nucleare la Russia rimane comunque una grande potenza.

Possiamo pensare che Putin veda in questi test un modo per spingere gli Usa a cercare di aprire dei negoziati sul conflitto ucraino, scavalcando la volontà di Kyiv?

Non credo che il test del missile balistico sia volto a questo fine, almeno in modo diretto. Putin in questi due anni ha sempre disconosciuto la legittimità del governo ucraino, seguendo la narrativa della stessa propaganda russa che dipinge il governo di Kyiv come un burattino occidentale, e ha quindi guardato agli Stati Uniti come principale interlocutore, forte del retaggio della compianta (dal punto di vista di Putin) Unione Sovietica. Ma gli Stati Uniti sono sempre stati chiari che debba essere l’Ucraina libera, democratica ed indipendente a decidere se e quando avviare trattative con Mosca. E questo quadro non cambia con il test missilistico.

Le dinamiche che abbiamo evidenziato in questa conversazione hanno delle conseguenze sulla comunità internazionale?

Assolutamente. Si pone per gli Stati Uniti, così come per la Nato e l’Onu, il tema di un regime di controllo degli armamenti e di non-proliferazione che ha subito duri colpi da parte russa sin dall’inizio della guerra, e che necessita di uno sforzo globale per essere ristabilito e rafforzato, ma anche ricostruito su basi più ampie perché la Cina, come dicevamo prima, sta diventando una potenza nucleare come la Russia. Dunque, per quanto difficile possa essere, è necessario mantenere un dialogo aperto come durante la Guerra Fredda, quando i due nemici si sono parlati per limitare il rischio nucleare. Alla luce del conflitto in corso, e anche dell’ascesa nucleare della Cina, bisogna trovare il modo per limitare i danni al regime internazionale di controllo degli armamenti e di non-proliferazione, per poi allargarli e rafforzarli. Ribadisco, è stato fatto durante la guerra fredda, in un confronto a tutto campo che ha visto anche il verificarsi di crisi molto dure come quella dei missili di Cuba, si può fare anche oggi. È un tema che va affrontato.

×

Iscriviti alla newsletter