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Le insostenibili contraddizioni di Geert Wilders raccontate da Polillo

Senza l’Europa il Paese dei tulipani sarebbe una piccola cosa. Non certo quel treno che cammina ad una sorprendente velocità, grazie proprio al rapporto intessuto, in tutti questi anni, con il mercato unico. L’Olanda, in altre parole, rappresenta la Manhattan dell’Eurozona, non certo la terra di Victor Orban. L’improvviso successo di Wilders va interpretato: la rivolta contro le élite al potere

Nonostante le promesse elettorali da parte di Geert Wilders, il vincitore delle elezioni nei Paesi Bassi, non vi sarà Nexit, (uscita dell’Olanda dalla Ue) come auspicato a più riprese. Innanzitutto perché la Brexit, dopo le illusioni iniziali, per gli inglesi, si è dimostrata essere tutt’altro che un buon affare. Quindi per una ragione più di fondo.

Escluso il fenomeno migratorio, dalla nascita della moneta unica, lo slogan “restituire l’Olanda agli olandesi” non ha avuto senso alcuno. Senza l’Europa il Paese dei tulipani sarebbe una piccola cosa. Non certo quel treno che cammina ad una sorprendente velocità, grazie proprio al rapporto intessuto, in tutti questi anni, con il mercato unico. E quindi con le istituzioni europee. Dalla cui eventuale separazione non potrebbe che derivare un autentico suicidio.

I Paesi Bassi sono il quinto Paese dell’Eurozona come prodotto interno lordo. Vengono subito dopo la Spagna. Ma il reddito pro-capite è di gran lunga superiore. Addirittura al primo posto dell’intera Unione, se si escludono i paradisi fiscali del Lussemburgo e dell’Irlanda. Sempre in testa – maglia rosa – per i livelli di occupazione. Con un tasso di disoccupazione, in genere, al di sotto dei livelli frizionali. Meno del 4 per cento della forza lavoro.

Dati che hanno fatto da calamita al flusso migratorio: in percentuale sulla popolazione residente quasi il doppio di quello italiano. Problema che indubbiamente esiste. Ma le cui soluzioni hanno ben poco a vedere con l’eventuale Nexit. Nel caso olandese non c’è una Manica da attraversare. E la continuità territoriale con il resto dell’Europa è tale da non scoraggiare il tentativo di immigrazione clandestina.

Con ogni probabilità, quindi, resterà, anche in futuro, il malessere sociale, aggravato dal fatto che il tasso di incremento demografico del Paese, a differenza dell’Italia, ha un valore positivo. Contribuendo a determinare quella penuria abitativa, che sembra essere stata causa non secondaria del successo del “biondo” leader del Partito della libertà.

In compenso, la la situazione finanziaria è più che florida, nonostante la relativa crisi di questi ultimi due anni. Il rapporto debito-Pil è da tempo inferiore al tetto previsto dal Trattato di Maastricht ed in continua diminuzione. Nel 2024 dovrebbe essere pari al 46,6 per cento del Pil. Ugualmente contenuto il deficit del bilancio pubblico, quando non in surplus. Quasi inesistente la spesa per interessi: nel 2024 solo lo 0,7 del Pil contro contro il 4,4 italiano. Resta sullo sfondo il problema del debito dei privati – ai primi posti della classifica europea – ma il dato non sembra preoccupare eccessivamente mercati ed istituzioni.

Seppure con qualche piccola pecca, l’Olanda rimane, quindi, un piccolo grande Bengodi. Costruito indubbiamente grazie alle indubbie capacità di un popolo, ma con il contributo determinante di un Europa che dipende, in larga misura, dalle importazioni che passano per quel Paese. E che hanno trasformato il Plat Pays, cantato da Jacques Brel, in un grande mercante ed, a seguire, in un agguerrito finanziere. Rotterdam non è solo il più grande porto europeo. Ma il centro di una ragnatela logistica fluviale, autostradale ed aeroportuale che non ha eguali nel resto del Continente.

Il predominio del commercio con l’estero è quindi assoluto. E con esso il forte attivo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti, al primo posto delle classifiche europee, in rapporto al Pil. Superiore a quello della stessa Germania (9,2 per cento contro il 6,5 del Pil nel 2024). Quasi 100 miliardi di euro, sempre nel 2024, contro i 276 tedeschi. Prodotti tuttavia da un territorio che è appena pari ad un decimo di quello dei propri confinanti. Nel 2022 oltre il 74 per cento di quel ben di Dio proveniva dagli scambi con l’Ue. Quasi 15 di punti in più rispetto alla media degli altri Paesi europei.

Ancora più significativa la situazione patrimoniale nei confronti dell’estero. Anch’essa derivante in larga misura dagli attivi delle partite correnti della bilancia dei pagamenti e dalla loro persistenza temporale. Nel corso degli anni essa è riuscita a superare il 100 per cento del Pil. Superando quella tedesca. Questi due Paesi, insieme al Belgio ed all’Italia (questi ultimi in misura marginale), con i loro trasferimenti impliciti di capitale, finanziano tutti gli altri partner dell’Eurozona, consentendo loro di vivere al di sopra delle rispettive possibilità finanziarie.

Il sistema bancario olandese ha quindi un ruolo di primo piano nel garantire il funzionamento dei singoli mercati. Le sue principali banche (Fortis, Rabobank, Ing e Abn Amro) sono classificate nella top globale 60. La loro presenza è tale da rappresentare l’86,8 per cento degli assets complessivi. Con un indice di concentrazione particolarmente rilevante che si sostanzia in un network di circa 6.500 branches in tutto il paese e 500 in altri 50 Paesi. Punto di attrazione per le altre banche internazionali (europee, asiatiche e americane) che hanno aperto in Olanda più di 60 sussidiarie e branches.

L’Olanda, in altre parole, rappresenta la Manhattan dell’Eurozona, non certo la terra di Victor Orban. Un reddito pro-capite modestissimo (26% di quello olandese). Posizione che difficilmente può giustificare propositi scissionisti. Il che spiega la modesta performance del partito di Geert Wilders, negli anni passati. Il suo improvviso successo va quindi interpretato, soprattutto, spiegato. E spiegato alla luce di quanto è successo in altri Paesi europei: dalla Spagna, alla Slovacchia e alla Polonia, pensando poi, come suggeriva Antonio Polito su Il Corriere della sera, a quanto potrebbe avvenire negli Stati Uniti o nella Russia di Putin, con le prossime elezioni.

La costante che si è registrata, i tutti questi casi, è quella della rivolta contro le élite al potere. Che siano di destra o di sinistra poco importa. L’importante è stato il cambiamento. Lo stesso che si è verificato nei Paesi Bassi. Ebbene come spiegarlo? L’impressione è quella di un malessere profondo. Il mondo a cause di politiche aggressive, che sono esterne all’Occidente, sta cambiando rapidamente nei suoi assetti fondamentali. Ma la reazione di quest’ultimo non è stata all’altezza della situazione. Soprattutto l’Europa è rimasta silente. Chiusa in un vecchio recinto fatto di formule sempre più logore ed astratte. Presagio e presupposto di un’inevitabile sconfitta. Contro la quale una parte sempre più consistente dell’elettorato ha cercato di reagire. Anche se non è facile immaginare quale sia la relativa prospettiva.



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