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L’Intelligenza Artificiale, l’ultimo cruccio di Kissinger

L’ex segretario di Stato americano aveva preso a cuore l’argomento, manifestando tutto il suo interesse ma anche la sua preoccupazione. L’arrivo di ChatGPT porta con sé “una rivoluzione intellettuale”, per cui forse l’uomo non è ancora pronto. O non è consapevole dei rischi che questo strumento comporta. L’eredità che lascia l’alto diplomatico è il sollecito a istituire un’Agenzia di regolamentazione internazionale come avvenuto con le armi atomiche

Che se ne sia andato nel giorno in cui ChatGpt festeggia il suo primo anno di vita è solo l’ennesimo scherzo del destino. Henry Kissinger, forse il più famoso segretario di Stato della storia americana nonché premio Nobel per la pace nel 1973, non poteva tacere sull’intelligenza artificiale e, nello specifico, sullo strumento che porta dietro con sé “una rivoluzione intellettuale”. Questo il titolo del suo editoriale scritto a sei mani – insieme all’ex dirigente di Google, Eric Schmidt, e al ricercatore del Mit di Boston, Daniel Huttenlocher – pubblicato sul Wall Street Journal il 24 febbraio scorso, un’altra ricorrenza significativa (il primo anniversario della guerra in Ucraina) strettamente collegata alla carriera dell’alto diplomatico.

“Mentre la stampa ha causato una profusione del pensiero umano moderno, la nuova tecnologia ne realizza la distillazione e l’elaborazione”, si legge nell’articolo. L’IA “crea un divario tra la conoscenza umana e la comprensione umana. Se vogliamo affrontare con successo questa trasformazione, sarà necessario sviluppare nuovi concetti di pensiero umano e di interazione con le macchine. Questa è la sfida essenziale dell’era dell’intelligenza artificiale”. Un monito carico di preoccupazione. Quella generativa “rappresenta una sfida filosofica e pratica su una scala mai sperimentata dall’inizio dell’Illuminismo” che tuttavia “aprirà strade rivoluzionarie per la regione umana e nuovi orizzonti per la conoscenza consolidata”. Trascinandosi dietro dunque opportunità, ma anche rischi.

Gran parte dell’analisi kissingeriana sta nel fatto che, a differenza delle scoperte del passato, con l’intelligenza artificiale i meccanismi di funzionamento rimangono sconosciuti. Se prima le dimostrazioni scientifiche erano di dominio pubblico, oggi nessuno sa in che modo il chabot di OpenAI – e tutti gli altri – riesce a darci risposte in maniera precisa e istantanea. O meglio, sappiamo che racimola le informazioni su Internet e grazie all’apprendimento automatico con cui è stato addestrato, ma i passaggi esatti rimangono oscuri ai più. “La differenza essenziale tra l’Età dell’Illuminismo e l’Era dell’IA non è quindi tecnologica ma cognitiva”.

È bene sottolineare come il giudizio severo di Kissinger non era volto a screditare l’evoluzione digitale. Tutt’altro. La sua riflessione suggeriva piuttosto di prestare la giusta attenzione a una novità di cui, forse, non tutti hanno compreso l’impatto. Forse l’aspetto che meno lo convinceva era l’assenza di umanità che logicamente presentano queste macchine. Giocando con ChatGPT, l’ex segretario di Stato gli ha chiesto di rispondere sul ruolo della Russia nell’indebolire la stabilità europea. “Ha fornito risposte apparentemente ponderate e concise in meno di un minuto, bilanciando informazioni contraddittorie e rispondendo in modo esauriente senza sembrare avere un’opinione”. Insomma, rimandato a settembre.

Non era la prima volta che Kissinger esprimeva la sua opinione sull’intelligenza artificiale. Anzi, insieme alle questioni di politica internazionale, si può dire che negli ultimi anni fosse l’argomento di suo maggiore interesse. Nel 2018, sul The Atlantic, già si era espresso sull’impreparazione umana nell’affrontare un simile cambiamento. In quell’articolo ammetteva la sua poca conoscenza sul tema, acquisita in seguito a confronti e dibattiti tenuti insieme a chi ne sapeva di più. Da quelle conversazioni era emersa la sua paura per il lato oscuro dell’IA, capace di “commettere errori più velocemente e di maggiore entità rispetto agli esseri umani”.

Da qui, la domanda centrale: “Come potremo gestire l’IA, migliorarla o quantomeno evitare che faccia danni, culminando nella preoccupazione più inquietante che, padroneggiando alcune competenze in modo più rapido e definitivo degli esseri umani, possa col tempo diminuire le competenze umane e la tessa condizione umana, trasformandola in dati?”.

Parte della risposta a questo dubbio la troviamo qualche anno dopo su Foreign Affairs (poi ripresa anche qui). Con l’aiuto dell’ex segretario alla Difesa per la politica e la pianificazione, Graham Allison, Kissinger scriveva che “la storia non è libro di cucina con ricette da seguire per produrre soufflé. Le differenze tra l’IA e le armi nucleari sono significative almeno quanto le somiglianze”. A quanto pare, anche l’ex diplomatico era a favore di una stretta regolamentazione degli strumenti tecnologici. Di più, chiedeva l’istituzione di un’agenzia internazionale che la governasse, così come era stata pensata un’organizzazione che controllasse le armi atomiche.

Per arrivarci, però, le due superpotenze contemporanee devono compiere un passo una verso l’altra. Joe Biden da una parte e Xi Jinping dall’altra “dovrebbero incontrarsi nel prossimo futuro per una conversazione privata sul controllo degli armamenti dell’IA. Ciascun leader dovrebbe discutere di come valuta personalmente i rischi posti dall’IA, di cosa sta facendo il suo paese per prevenire le applicazioni che pongono rischi catastrofici e di come si assicura che le aziende nazionali non esportino rischi”. Il problema tuttavia è che oggi Stati Uniti e Cina si parlano poco – ma si parlano. Per avvicinarle, servirebbe qualcuno con il realismo di Kissinger.

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