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Cosa insegna il blitz antimafia tra Palermo e New York. Scrive Mayer

La recente operazione di polizia riporta alla memoria la grande inchiesta sulla Pizza Connection condotta da Giovanni Falcone e rende di grande attualità il nuovo libro di Mori e De Donno

Una recentissima operazione di polizia coordinata tra Palermo e New York contro il clan Gambino ha riportato alla memoria la grande inchiesta sulla Pizza Connection condotta da Giovanni Falcone, la cui rilevanza è stata ricordata nel 2022 da Louis Freeh, ex capo del Fbi. Riflettere attentamente sull’esperienza del passato offre spunti preziosi per elaborare, innanzitutto sul piano politico, una strategia di medio e lungo periodo.

Di Falcone si ricorda spesso l’espressione “follow the money”. A tal proposito, resta il rammarico che una parte di questa sua intuizione investigativa si sia arenata. Molti risultati sono stati ottenuti riguardo al riciclaggio dei profitti illeciti della mafia per il traffico di armi, droga, estorsioni e altri gravissimi reati. Per una serie di circostanze concomitanti, non è stato possibile raggiungere risultati investigativi altrettanto efficaci nel perseguire il metodo Falcone “follow the money” quando si trattava di finanziamenti pubblici, soprattutto in materia di appalti e pubbliche forniture. Alla domanda “How did the mafia manage to benefit from public expenditure?” (Come la criminalità organizzata siciliana ha lucrato e lucra sui finanziamenti pubblici?), si è risposto raggiungendo alcuni risultati investigativi importanti, ma solo parziali.

Sono passati ben 35 anni dalla prima inchiesta su mafia/appalti nel comune di Baucina in provincia di Palermo. Per inquadrare adeguatamente il contesto ambientale di quella indagine, è sufficiente citare le parole di Pierluigi Vigna, all’epoca procuratore nazionale Dna, in una celebre audizione alla commissione bicamerale Antimafia: “Tra il 1985 e il 1993 Cosa Nostra aveva il pieno controllo degli appalti pubblici in Sicilia”.

Due notizie di questi giorni creano le condizioni per innescare un salto di qualità nella conoscenza storica del fenomeno mafioso in materia di appalti. È possibile, inoltre, che i nuovi approfondimenti offrano spunti per ottimizzare le azioni di prevenzione e contrasto rispetto ai grandi investimenti europei del Pnrr nel territorio siciliano.

La prima notizia è che la Corte di Cassazione ha pubblicato le motivazioni della conferma dell’assoluzione definitiva degli ufficiali del Ros coinvolti da più di dieci anni nel procedimento giudiziario noto come “trattativa Stato-Mafia”. La seconda notizia è che oggi esce in libreria il volume “La verità su Mafia e Appalti” scritto da due degli ufficiali dei carabinieri assolti in via definitiva, il prefetto Mario Mori e il colonnello Giuseppe De Donno. Il libro edito dal gruppo Mondadori sarà presentato a Roma dal professor Giuliano Amato, presidente emerito della Corte Costituzionale, il prossimo 24 novembre alla presenza degli autori.

Sulla “trattativa Stato-Mafia” si è scritto di tutto e di più. Moltissimi organi di stampa, televisioni, social media e persino Wikipedia, dando per scontata la “trattativa Stato-Mafia”, hanno avallato le gravissime accuse rivolte agli alti ufficiali del Ros che ho appena citato. Nell’aprile di quest’anno la Cassazione ha sancito definitivamente che le cose erano andate in modo radicalmente diverso rispetto alla narrazione dominante e venerdì scorso sono state depositate le motivazioni (95 pagine) della sentenza con cui la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di assoluzione. Le implicazioni giuridiche e investigative di questo lungo e sconcertante caso giudiziario sono di grande rilevanza e, a mio avviso, dovrebbero essere materia di ricerca e didattica innanzitutto nelle scuole e nei dipartimenti di Giurisprudenza.

Per quanto riguarda, invece, l’opinione pubblica, sarebbe a mio avviso importante chiarire due punti. Il primo è che i tentativi di interlocuzione della polizia giudiziaria con appartenenti ad organizzazioni criminali (nel caso in esame i contatti con l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino) possono essere utili o inutili alle indagini, ma sono fisiologici. Il secondo è che gli ufficiali di polizia giudiziaria dispongono di una loro specifica autonomia (penso in particolare alla gestione di fonti confidenziali ai sensi dell’articolo 203 del codice di procedura penale). La coincidenza temporale tra le motivazioni della assoluzione definitiva di Mori e di De Donno e la pubblicazione del loro libro crea l’opportunità di connettere la verità giudiziaria e quanto emerge e soprattutto potrà emergere dalla ricerca storica.

L’augurio è che l’interessante testimonianza di Mori e De Donno non resti un fatto isolato, ma che anche altri seguano il loro esempio al fine di ricostruire la storia degli appalti e delle forniture pubbliche in Sicilia e più in generale nel nostro Paese.

Dal libro, la prima cosa che mi ha colpito è la disinvoltura con cui le imprese del nord si muovono in Sicilia. Da quanto emerge, per Cosa Nostra è relativamente facile negoziare accordi di spartizione con alcuni dei gruppi industriali nazionali oltre che con esponenti politici del territorio.

Un filone di ricerca che suggerisco di esplorare sono gli archivi storici delle aziende che non possono certo far mancare il loro prezioso apporto alle ricerche degli storici. Nel volume, inoltre, si conferma con una varietà di esempi quanto Falcone sosteneva relativamente al condizionamento sistematico – ex ante ed ex post – di Cosa Nostra negli appalti pubblici siciliani.

Concludo citando altre pagine del libro che mi hanno particolarmente colpito e che non conoscevo. Mi riferisco in particolare alle complesse relazioni tra le inchieste milanesi e quelle palermitane. Non c’è qui spazio per approfondire alcuni eccessi di Tangentopoli (uso improprio della custodia cautelare), ma quello che non sapevo è che numerosi imprenditori erano disponibili a collaborare senza problemi con gli investigatori milanesi, ma quasi nessuno di questi era disposto (per il timore di perdere la vita) a fare lo stesso con gli ufficiali di polizia giudiziaria e con i magistrati operanti a Palermo e in Sicilia.

Su questo aspetto, il libro riprende alcune interessanti testimonianze di Antonio Di Pietro sui tentativi di ricomporre questa macroscopica discrepanza. L’indisponibilità degli imprenditori del nord a testimoniare le vicende correlate ai loro interessi in Sicilia non è la sola difficoltà per gli investigatori che si occupano di mafia appalti. I lettori del libro potranno conoscere dalla voce diretta degli autori i numerosi ostacoli che hanno incontrato sul loro cammino. Il volume, infine, solleva alcuni interrogativi a cui gli autori nella loro pur ampia ricognizione non sono stati in grado di rispondere. Tra questi, uno merita, a mio avviso, una particolare attenzione da parte degli storici: perché non si è mai parlato della testimonianze sulle difficoltà incontrate da Paolo Borsellino a Palermo e delle relative audizioni al Csm, organo di rilevanza costituzionale?

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