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La Nato spinge per una soluzione alla crisi di Gaza. Castiglioni (Iai) spiega come

“Credo che l’attuale tregua durerà e che Israele abbia colpito rapidamente e duramente perché conscio del tempo limitato a disposizione e del rischio di isolamento internazionale. Il prossimo conflitto? Impossibile da stabilire, ce ne sono molti latenti – per esempio in Africa occidentale”. Conversazione con Federico Castiglioni, ricercatore dello Iai e docente presso l’Università Link Campus di Roma

Le due sponde dell’Atlantico provano ad accelerare l’interlocuzione sulla crisi a Gaza. Il vertice tra il Segretario di Stato americano, Antony Blinken e il Segretario Generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha avuto come obiettivo preparare il vertice dei ministri degli Esteri dell’alleanza e gettare le basi per l’appuntamento di Washington, quando cadrà il 75° anniversario della Nato nel 2024. Due eventi al cui interno gravita la crisi a Gaza, che impone all’alleanza una strategia di insieme. Pur restando fermo e costante il sostegno all’Ucraina e l’azione diplomatica volta a garantire la sicurezza nei Balcani occidentali, la deterrenza e la difesa dell’Alleanza sono i due capisaldi delle azioni presenti e future, la cui efficacia va intrecciata con la guerra in Medio Oriente. Soltenberg e Blinken hanno anche incontrato il ministro degli esteri turco Fidan.

Il tema tra le altre cose è stato al centro della riunione Nato di ieri, a cui ha preso parte anche il ministro degli esteri italiano, Antonio Tajani (secondo cui è fondamentale “continuare a rispondere efficacemente a sfide internazionali, ho ribadito impegno del governo al rafforzamento dell’Alleanza Atlantica anche nello scacchiere del Mediterraneo, priorità presidenza italiana del G7 nel 2024”).

Le mosse Nato

Stoltenberg, Fidan e Blinken si parlano e provano a trovare una strada comune da seguire. Il punto di partenza può essere questo cessate il fuoco oppure è solo un atto umanitario seppur dovuto?

Secondo Federico Castiglioni, ricercatore dello Iai e docente presso l’Università Link Campus di Roma, la Turchia sta esercitando una grande pressione sulla Nato per fermare Israele. “La mia impressione è che gli Usa non ne siano insensibili, anche a causa dei paletti (e non sempre rispettati) posti da Biden per contenere l’offensiva di Israele. In generale, gli Usa hanno usato una combinazione di soft e hard power per evitare escalation regionali, provando a contenere Israele ed evitare al contempo l’ingresso di attori terzi (come l’Iran) nel conflitto. Io credo che l’attuale tregua durerà e che Israele abbia colpito rapidamente e duramente perché conscio del tempo limitato a disposizione e del rischio di isolamento internazionale. Non dimentichiamoci che il 16 novembre il consiglio di sicurezza Onu ha chiesto un cessate il fuoco umanitario immediato, trovando un compromesso tra Stati Uniti, Russia e Cina”.

Influenze esterne

Quanto spingono e spingeranno nei tavolo di discussione le influenze esterne, come quelle di Teheran, Pechino a Mosca? La Russia ha un interesse a far durare il conflitto per distogliere l’Occidente dalla situazione ucraina ma senza alleati regionali può far poco, spiega a Formiche.net. “In questo senso l’Iran è un attore chiave e il più grande pericolo in caso di ripresa delle ostilità. La Cina ha invece un profilo molto diverso e, pur condannando l’attacco a Gaza, ha preferito rimanere defilata finora nell’attesa di capire quali saranno i prossimi equilibri regionali”.

Ma c’è un altro elemento che potrà giocare un ruolo significativo e si chiama Turchia: Recep Tayyip Erdogan persegue con coerenza una politica estera mirata ad estendere l’influenza turca in Medio Oriente e nel Mediterraneo. “La situazione di Gaza – prosegue Castiglioni – ha mostrato che gli Stati sunniti come Egitto e Arabia Saudita sono ormai molto cauti nei confronti di Israele e non sono disposti a mettere a repentaglio la sicurezza regionale per la Palestina. È invece il mondo sciita che sembra più interessato a presentarsi come difensore della causa palestinese. In un momento in cui la causa araba e sunnita sembra vedere gli attori regionali su strade diverse, si apre per Erdogan – sunnita ma non arabo – un’opportunità politica interessante”.

Scenari

Un altro tema su cui riflettere, sin dal 7 ottobre scorso, è il seguente: dopo Ucraina e Gaza cosa ci aspetta? Si rischia un conflitto nei Balcani (Serbia vs Kosovo) o in Garabagh? Castiglioni non crede che la situazione nei Balcani degenererà, “perché mi sembra che nessuno ne guadagnerebbe nulla, gli Stati balcanici prenderebbero molto male un’aggressione serba al Kosovo e Belgrado vedrebbe tagliati i suoi rapporti con Ue e Usa, suoi primi partner economici e sociali”.

E conclude: “Credo invece che la Serbia continuerà ad usare la questione Kosovara per fini elettorali interni. Prevedere la prossima zona di instabilità è impossibile. Ci sono molti conflitti latenti – per esempio in Africa occidentale – ma questi ci sono sempre e prevedere quando e quale di questi esploderà è pressoché impossibile”.

@FDepalo


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