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Usa, Cina, Russia, Iran, quanto conta il nucleare oggi? Risponde Castelli

armi nucleari

Ludovica Castelli, esperta di nucleare dell’Università di Leicester all’interno del progetto “Third Nuclear Age”, rimarca come la componente atomica rimanga rilevante nella policy delle principali potenze revisioniste di oggi. Ma anche come ciascuna di esse la declini secondo i propri obiettivi

Nell’instabile sistema multipolare che si è delineato negli scorsi anni (e continua tutt’oggi a prendere forma), quello nucleare rimane uno degli aspetti principali delle relazioni internazionali. Con obiettivi e finalità diverse a seconda dei casi. In queste ore stiamo assistendo  al ritiro della Russia dal Comprehensive Nuclear Test Ban Treaty, seguendo una direzione opposta a quella della Repubblica Popolare Cinese, che invece potrebbe aprire un dialogo con gli Stati Uniti proprio sul controllo degli armamenti nucleari. Quanto (e come) pesa ancora il nucleare per le potenze mondiali? Formiche.net ne ha parlato con Ludovica Castelli, che all’interno del progetto “Third Nuclear Age” dell’Università di Leicester studia certe dinamiche.

Il contesto internazionale odierno è in rapido cambiamento, con un sempre maggior grado di instabilità. Quale ruolo gioca il nucleare in queste dinamiche di trasformazione?

Un ruolo tutt’altro che trascurabile. Faccio un esempio: domani (6 novembre) rappresentanti cinesi e statunitensi si incontreranno per discutere sul controllo degli armamenti. Evento di una certa rarità, che tuttavia ritiene una forte valenza simbolica, considerando quanto la Cina abbia sempre approcciato con reticenza la questione del controllo degli armamenti, storicamente vista come una forma di governance “occidentale”, e quindi “imperialista”. Ma l’evoluzione del contesto internazionale menzionato poco sopra ha stimolato un’apertura. C’è un interesse comune nel voler creare le basi per un dialogo, che possa idealmente assumere la forma di una serie di colloqui formali. Il conflitto in Ucraina ha contribuito ad accendere un riflettore sulla precarietà dell’attuale governance sul controllo degli armamenti e sulla frangibilità di concetti quali la stabilità strategica, la deterrenza. Non a caso uno dei temi che saranno discussi nell’incontro tra Washington e Pechino di domani è proprio quello della miscalculation.

Il contesto del conflitto ucraino ha dato ampio spazio all’aspetto nucleare. Quali lezioni possiamo trarne?

In questo scenario specifico il nucleare ha giocato ruoli tanto molteplici quanto diversi. La guerra in Ucraina è stata definita una “guerra convenzionale sotto l’ombra nucleare”. È la dimostrazione che è possibile assistere a un conflitto limitato alla dimensione convenzionale anche se una delle parti coinvolte dispone dell’arma nucleare, che nel caso specifico è anche l’aggressore. È legittimo ipotizzare che l’arsenale nucleare di Mosca abbia avuto una funzione “rassicurante” nei confronti della leadership russa, che ha visto nella capacità atomica della Federazione Russa una forma di “garanzia” contro un eventuale intervento diretto da parte della Nato. Ma sono solo speculazioni. Quel che è certo è che c’è stata una forte retorica da parte della Russia in questo senso, dalla messa in allerta delle forze strategiche alla minaccia diretta dell’impiego di simili ordigni, che suggerisce quanto queste armi siano tutt’oggi considerate fruibili in specifici contesti di guerra. A quasi due anni dall’inizio del conflitto possiamo però evidenziare come (ancora una volta) la coercizione nucleare, che si basa su questa narrativa, possa ridursi ad avere impatto molto limitato, e come la presenza di un arsenale nucleare non garantisca successo in una guerra convenzionale. Probabilmente la Russia si aspettava un minore supporto da parte occidentale, o una risposta più misurata da parte ucraina, proprio in funzione della sua retorica nucleare. Ma le cose sono andate diversamente.

Un altro Paese in cui il nucleare rappresenta un aspetto preminente della politica estera è l’Iran. Quanto è forte la volontà della leadership di Teheran di ottenere una capacità atomica?

Ad oggi, ciò che possiamo affermare con sufficiente fiducia è che il calcolo costi-benefici, derivante dall’acquisizione aperta di un deterrente nucleare, tiene Teheran lontano da tale opzione. Al contrario, la strategia del nuclear hedging si è delineata come una strategia ottimale all’interno della dottrina di sicurezza iraniana. Sviluppare una latenza nucleare mantenendo un certo grado di ambiguità costituisce per Teheran un deterrente sufficiente che permette di eludere una condizione di completo isolamento internazionale, e allo stesso tempo di continuare ad adempiere alle obbligazioni del Trattato di Non-Proliferazione. Sulla capacità materiale ci sono previsioni diverse provenienti da fonti diverse, le quali però hanno un’importanza relativa. Quello che è rilevante è proprio quest’incertezza, che è l’obiettivo perseguito da Teheran.

Ci sono altri attori che preferirebbero vedere un “Iran nucleare”?

Nessuno. Non la Cina, non la Russia, non gli Usa. Figuriamoci qualche potenza regionale. Le grandi potenze l’hanno sempre reso chiaro, e anzi ci sono stati tentativi, soprattutto da parte cinese, di recuperare il Joint Comprehensive Plan of Action “affondato” dal ritiro statunitense voluto da Donald Trump. Anche se la guerra in Ucraina ha contribuito a farlo naufragare.

All’inizio ddi questa conversazione si accennava all’imminente inizio delle discussioni tra Cina e Stati Uniti sul controllo degli armamenti. Anche per la rising power asiatica il nucleare gioca un ruolo fondamentale? Quale?

Una delle dimensioni della crescita del gigante cinese è quella dell’affermarsi come un attore nucleare a tutti gli effetti, con un arsenale che cresce quantitativamente e qualitativamente, per essere al pari di quello russo e di quello statunitense. Anche se la Cina ha una policy molto particolare che regola l’impiego dello strumento nucleare per via delle sue caratteristiche prettamente “difensive”, tra cui spicca il principio del “no first use”. Principio di cui loro si vantano estensivamente, anche (e soprattutto) in funzione di critica verso l’Occidente. Ma un importante chiarimento che fanno al riguardo è quello dell’aspetto “internazionale” di questo principio: chiarimento importante poiché Pechino non considera Taiwan un altro stato, ma un territorio separatista guidato da un governo illegittimo. Ed essendo dunque una problematica interna, le cose cambiano radicalmente. La dimensione nucleare all’interno di questo scenario specifico è una questione aperta e dibattuta, perché ovviamente quando si parla di Cina c’è un importante grado e di segretezza e di ambiguità. Gli analisti fanno dunque fatica a comprendere quali siano le politiche interne e la dottrina di Pechino per quel che riguarda il nucleare. Quello che però si può capire, anche grazie ai riferimenti al riguardo presenti in varie fonti ufficiali, è che la capacità nucleare è considerata come un caposaldo strategico per tutelare la propria sovranità e la propria sicurezza nazionale.

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