Oggi e domani il penultimo confronto a Bruxelles, prima che il negoziato per la riforma della governance salti. Ma per l’economista Veronica De Romanis non è il male assoluto, perché i nuovi vincoli metterebbero l’Italia con le spalle al muro. La manovra? Una finanziaria come tante altre, ai mercati per ora va bene così
Calendario alla mano, mancano due riunioni dell’Eurogruppo e due dell’Ecofin da qui alla fine dell’anno. I tempi per cercare un accordo in extremis sulla riforma del Patto di stabilità, sono insomma strettissimi. E l’orologio ha già cominciato a fare tic-tac da questa mattina, quando il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, è atterrato a Bruxelles per incontrare i colleghi europei e tentare la penultima mediazione, conscio del fatto che l’Italia è l’unico paese dell’Ue a non aver ratificato il Mes, infilato dal governo italiano in una partita politica con Bruxelles (un Patto di stabilità soft, in cambio del sì al Mes). E ci sarà anche il tedesco Christian Lindner, il duro e puro di Germania che continua a martellare per una maggiore restrizione delle regole sulla gestione dei debiti sovrani.
Un passo indietro. Che succede se il negoziato fallisce e si torna ai vecchi vincoli? Un tale scenario rappresenterebbe, per alcuni, un disastro. Perderebbero credibilità le istituzioni comunitarie, a cominciare dalla Commissione europea che aveva predisposto lo scorso anno uno schema di riforma dell’intera governance europea. Vale la pena ricordare l’articolo di Mario Draghi e Emmanuel Macron pubblicato il 23 dicembre 2021 sul Financial Times, nel quale si sottolineava che già prima della pandemia le regole fiscali vigenti avevano bisogno di essere riformate, perché poco chiare e troppo complesse. Ma è davvero così? Formiche.net ne ha parlato con Veronica De Romanis, economista della Luiss.
Oggi l’Eurogruppo, domani l’Ecofin. La sensazione è che si vada incontro a una specie di scambio, su pressing dell’Italia, tra revisione del Patto di stabilità e Mes. Ma davvero è possibile mettere sullo stesso piano le due cose?
Non c’è nessuna connessione, la logica del pacchetto non mi pare sussista. Siamo gli ultimi in Europa a non aver ratificato il Mes, su cui tutti i Paesi membri si sono già confrontati da molto tempo, mentre sul Patto di stabilità la discussione è ancora aperta. Come è possibile mettere sullo stesso piano le due cose? Non ha nessun senso. Il Mes già esiste, non si tratta di crearlo ma di ratificarlo, dando uno strumento in più all’Europa, quello che permette di intervenire in caso di crisi bancaria.
Il governo di Giorgia Meloni, negli ultimi mesi, ha portato avanti una narrazione che recita più o meno questo: è possibile ratificare il Mes a patto che non lo si usi. Che effetto le fa?
Non bello. Perché sarebbe interpretato anche male dai mercati, che percepirebbero come in caso si crisi bancaria, nonostante vi sia uno strumento a disposizione, non lo si usi. E questo non è un gran bel programma.
L’Italia il prossimo anno farà un deficit del 4,3%, che l’Europa non ha visto di buon occhio. Quanto c’è da essere preoccupati del ritorno delle ipotetiche vecchie regole sui conti, qualora fallisse il negoziato?
Direi zero. La nuova riforma del Patto mette al centro il debito, aumenta la discrezionalità della Commissione europea e riduce la trasparenza. Con le vecchie regole, invece, un Paese sa cosa deve fare e ci sono criteri uguali per tutti, con parità di trattamento. E poi c’è sempre la flessibilità. Con la riforma, invece, si aumentano i poteri della Commissione, sono decisamente perplessa. Tornare al vecchio Patto non rappresenta un problema, anche per l’Italia, di questo sono certa.
I mercati, fin qui, si sono dimostrati benevoli con l’Italia, anche all’indomani della Nadef e della manovra. Come si spiega?
Questa è una manovra che sì aumenta il disavanzo e finanzia una riduzione delle tasse temporanea, ma ne abbiamo viste tante di finanziarie fatte così. L’obiettivo del governo è quello di ridurre il debito e questo è quello che ci si aspetta. Ma rimaniamo osservati speciali, appesi alle privatizzazioni e a una crescita dell’1,2%, irrealizzabile. Se togliamo queste due condizioni il debito sale e per questo i mercati ci stanno a guardare, per ora.
La Bce ha da poco interrotto la sequenza dei rialzi e c’è già chi parla di cominciare a invertire la tendenza, cominciando a ridurre i tassi. Le pare prematuro?
Christine Lagarde ha detto che i tassi rimarranno alti, almeno fino a dicembre. Ma serve una politica fiscale selettiva, da parte dei governi nazionali che devono distribuire il costo di tutta questa operazione. Voglio dire che occorre porre fine alla politica del dare tutto a tutti e in questo senso ha fatto molto bene il governo a chiudere l’esperienza del Superbonus. Più che preoccuparci di quello che farà la Bce, pensiamo a noi e a come scaricare al meglio il costo dei rialzi, senza danneggiare, se possibile, i conti.