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Piano di azione italo-tedesco, così si completa la triangolazione con Parigi. Parla Valensise

Conversazione con l’ex ambasciatore italiano a Berlino: “Si tratta di un piano operativo che mette in comunicazione settori interi delle amministrazioni dei due Paesi con una flessibilità forse anche maggiore di quella che può avere il trattato: si concentrerà sulla sostanza”

È giusto che Paesi come l’Italia e come la Francia cerchino di raccordare le loro istanze, le loro politiche, le loro ambizioni, facendo valere i propri interessi, in particolare con la Germania. Lo dice a Formiche.net Michele Valensise, già ambasciatore d’Italia a Berlino e segretario generale della Farnesina, attualmente presidente del Centro italo-tedesco per il dialogo europeo Villa Vigoni, che analizza il piano d’azione tra Italia e Germania siglato da Giorgia Meloni e Olaf Scholz. Il vantaggio, osserva, è quello di un coordinamento tra due Paesi che non sono certo gli ultimi in Europa: immaginare decisioni europee senza il consenso della Germania non è pensabile perché la Germania ha un ruolo oggettivamente importante in Ue.

Roma-Berlino, questo accordo rappresenta un nuovo inizio?

È un punto di partenza promettente e incoraggiante. Le relazioni sono radicate e strette da tempo, ma è bene fare qualche cosa di più, intensificare e strutturare la cooperazione sul piano bilaterale: questo è l’obiettivo del Piano d’azione, un piano operativo.

Per Olaf Scholz il dialogo costruttivo con l’Italia rafforza la Germania in Europa e nella dialettica con Parigi?

Senz’altro. Il rapporto franco-tedesco è da decenni un dato di fatto incontestabile, rilevante in particolare sul piano europeo, ma non è un rapporto esclusivo. Per la Germania l’Italia è un Paese importante, per l’integrazione delle due economie e per le non poche sintonie sul piano della politica internazionale. Con la Francia le nostre relazioni non sono da meno, rilanciate tra l’altro dalla recente conclusione del Trattato del Quirinale. Ci sono le premesse per una triangolazione proficua tra i tre maggiori Paesi dell’Ue.

Quali le differenze del piano di azione rispetto al Trattato del Quirinale?

Il piano ha una forma diversa, non è un trattato, non sarà soggetto a ratifica parlamentare. Ma al di là della forma, conviene concentrarsi sulla sostanza. E la sostanze è quella di un piano operativo che raccorda in maniera più strutturata settori cruciali dei due Paesi (politica estera e di difesa, economia, Europa, clima e ambiente, cultura), con una flessibilità forse persino maggiore di quella che può avere un trattato.

I vantaggi per l’Italia e per il governo Meloni si ritrovano anche nel filo comune e più arioso che tocca Stati Uniti, Cina, Mediterraneo e Africa?

Mi sembra che l’Italia abbia tutto l’interesse a un rapporto aperto e costruttivo con la Germania, suo primo partner europeo. Gli interessi sono in buona parte convergenti. Poi ci sono sensibilità diverse naturalmente, non bisogna nasconderlo, ma il metodo rafforzato dal piano d’azione è virtuoso. È chiara l’utilità del dialogo, del raccordo, della ricerca di sintesi nell’interesse comune dei due Paesi e nel quadro europeo.

Il piano poteva essere costruito prima? Come mai si è aspettato così tanto?

Non credo che si sia aspettato tanto. Il negoziato è stato avviato dal nostro precedente governo, l’attuale lo ha proseguito e definito in tutti i suoi aspetti con una sostanziale continuità. Il lavoro preparatorio è stato necessariamente approfondito e accurato. La conclusione dell’intesa da parte di un governo diverso da quello che l’aveva perseguita inizialmente mi sembra un dato positivo, di giusta considerazione degli interessi nazionali permanenti.

Agli occhi dell’Ue e della coesione europea questo piano che elementi offre?

C’è un più stretto coordinamento tra due Paesi rilevanti e impegnati sulla scena europea, che può favorire anche utili sinergie a Bruxelles sia per l’Italia e la Germania, sia per una maggiore coesione europea. In quella prospettiva è naturale che Paesi come l’Italia e la Francia cerchino di confrontare meglio istanze e ambizioni, facendo valere i propri interessi, in particolare con la Germania.

In un’ottica di metodo questo accordo può essere replicato con altri partner?

Penso che Roma e Berlino non abbiano intenti esclusivo, cioè di lasciare altri partner ai margini della collaborazione europea. Il Piano d’azione riflette la rilevanza dei rapporti bilaterali tra Italia e Germania, ma nulla pregiudica aperture e sinergie con altri Paesi dell’Unione europea.

Come giudica l’apertura di Scholz sull’accordo italo-albanese sui migranti?

L’attenzione del governo federale nei confronti dell’iniziativa italiana in Albania è un segnale significativo. In Germania oggi c’è l’esigenza di una regolamentazione più attenta, di un maggiore controllo, rispetto alle aperture quasi incondizionate degli anni scorsi, circa l’afflusso, la gestione e l’integrazione dei migranti. Non si ripete più “Ce la faremo a prenderli tutti” (2015), governo e opposizione riflettono apertamente su criteri più rigorosi di ammissione dei migranti, anche per le delicate implicazioni di politica interna.


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