Il premierato rischia di aggravare la ribellione sociale in atto contro l’amministrazione dello Stato. Per alcuni il referendum è solo uno specchietto per le allodole, per arrivare alle europee con una bandiera da sventolare. È probabile, ma ciò acuisce il problema di fondo: il distacco della politica dalla vita della popolazione
Nel 2016 Matteo Renzi legò le sorti della sua riforma costituzionale alla sua permanenza al potere. Il risultato fu quello lasciato alla storia, Renzi perse il referendum e il posto. Se avesse proposto la riforma e offerto di andarsene quando fosse stata approvata, oggi forse ci sarebbe una costituzione diversa e Renzi sempre premier.
Ci possono essere tante spiegazioni politiche per questo, ma forse ce n’è una molto fisica. L’universo è composto per oltre il 99% di materia oscura, che è un’entità propria. Ostacola il passaggio della luce delle stelle che altrimenti illuminerebbe tutto. Il buio prevale su quello che è in luce. È solo attraverso il buio che ci si fa luce. Il contrasto, il paradosso è la logica vincente.
Oggi se il premier Giorgia Meloni vuole sopravvivere politicamente, e non entrare nel girotondo di leader per una stagione, forse deve capire che la sorte di Renzi è dietro l’angolo. La sua proposta di riforma costituzionale potrebbe avere una speranza di successo solo se collegata a un suo passo indietro, alla scommessa di far passare qualcosa che è per il bene del paese disgiunto dalla sua fortuna personale.
Diversamente dal 2016 il fronte delle opinioni intellettuali è compatto a opporsi alla riforma. Gli intellettuali sono tanto più importanti quanto non hanno voce in parlamento ma peso nell’opinione pubblica interna e internazionale. Quindi spingere una riforma contro quei pareri sarebbe futile o un atto di dittatura parlamentare. Nel 2016 i pareri sulla riforma di Renzi almeno erano divisi.
Inoltre in questi sette anni è peggiorata una tendenza mortale per ogni democrazia: l’assenteismo elettorale. Nelle recenti elezioni suppletive al Senato di Monza ha votato il 18% degli aventi diritto, l’eletto ha ricevuto meno del 10% del consenso dei votanti. Cioè il 90% degli elettori di Monza è contrario più o meno passivamente all’eletto.
Monza è la punta dell’iceberg in Italia. Se i votanti non si sentono rappresentati insorgeranno contro il parlamento in maniera più o meno organizzata.
Cioè non pagheranno le tasse (si veda già la dilagante evasione fiscale), manderanno i figli all’estero (si veda già l’esodo dei giovani fuori), smetteranno di partecipare attivamente alla vita pubblica e lavorativa (si veda già la straripante richiesta di privilegi piccoli e grandi, il reddito di cittadinanza o la licenza del taxi o la spiaggia).
Questi problemi sono come un cancro che sfarina progressivamente il tessuto sociale, al di là di chiunque si trovi al governo. Riconnettere questo tessuto dovrebbe essere il compito oggi del governo e del parlamento.
La riforma va nella direzione opposta. Dice: visto che i cittadini non votano, concentriamo ancora il potere. Il risultato non sarà la dittatura, ma un’amministrazione staccata dalla vita del Paese.
Per illustri opinionisti come Stefano Folli, Luigi Bisignani o Antonio Polito il referendum è solo uno specchietto per le allodole.
È il tentativo di arrivare alle elezioni europee dell’anno prossimo con una bandiera da sventolare per raccogliere quattro voti in più. È probabile, ma ciò acuisce il problema di fondo: il distacco della politica dalla vita della popolazione.
Inoltre, come la telefonata dei “comici” russi dimostra, l’instabilità internazionale è arrivata già in Italia. La destabilizzazione del Paese potrebbe essere l’obiettivo di gruppi esteri ostili all’alleanza occidentale, dove è inserita l’Italia. Se questo governo non sa affrontare le sfide interne e internazionali bisogna cambiarlo. È ciò che vuole il premier Meloni?
Con una maggioranza quasi senza precedenti nella storia repubblicana la Meloni non ha altri nemici tranne sé stessa e la gente del suo governo. Forse è il momento di pensare in profondità al proprio futuro, e a quello della nazione.