Per Carrai (Nyu Shanghai), in un mondo ideale dopo l’incontro Biden-Xi i rapporti tra Stati Uniti e Cina migliorerebbero. Ma le relazioni sono troppo competitive e servirebbe molta volontà politica per cambiare il corso delle cose
È da oltre un anno che Xi Jinping e Joe Biden non si parlano faccia a faccia, e questo dà all’incontro di San Francisco, in occasione del’Apec Summit (la riunione della Asia Pacific Economic Cooperation), un valore significativo di per sé. Nella sostanza, è già un risultato che i leader delle prime due potenze globali si parlino.
E la macchina diplomatica avviata nei mesi scorsi in preparazione dell’appuntamento californiano, che ha portato a molti altri incontri, scambi e un ravvivamento del dialogo che si era completamente spento negli ultimi anni, è stata altrettanto significativa, fa notare Maria Adele Carrai, esperta di Global China Studies alla New York University di Shanghai.
Le visite ad alto livello hanno anche avuto un protocollo più caldo del normale (Xi ha accolto personalmente il segretario di Stato Antony Blinken, i senatori americani e il governatore della California Gavin Newsom ospite dell’Apec; Biden ha poi trascorso un’ora con il ministro degli Esteri cinese Wang Yi a Washington). Si potrebbe quasi pensare che il vertice con Biden di questa settimana sia un reset?
“Mentre le aspettative sono alte, penso che la cautela sia d’obbligo. Non penso che l’incontro possa cambiare la natura profondamente competitiva della relazione fra Stati Uniti e Cina, o possa portare al cambio di attitudine da parte degli Stati Uniti in aree come tecnologia, commercio, e sicurezza”, spiega Carrai a Formiche.net.
Per riportare sui binari le relazioni sino-americane, la Cina insiste sul rispetto reciproco, la coesistenza pacifica e la cooperazione vantaggiosa per entrambi come principi fondamentali. Per la Cina, il principale ostacolo è ciò che chiama, anche per essere ascoltata da una porzione di mondo terzo identificabili come “Global South”, mentalità da Guerra Fredda e la competizione strategica avanzata dagli Stati Uniti.
“Va detto che anche se questo approccio cambiasse, la Cina non si fida degli Stati Uniti, e vuole comunque emergere come potenza mondiale e ‘prendere il posto che gli spetta nel mondo’, come recita la ‘Great rejuvenation of the Chinese nation’ promossa dal leader Xi Jinping”, aggiunge Carrai.
“È probabile che l’incontro si concentrerà su questioni generali di principio, ma anche sulla gestione di questioni delicate, come la guerra in Ucraina, il conflitto in Medio Oriente, la questione di Taiwan e le tensioni commerciali. E anche per questo, è difficile prevedere quali risultati concreti potranno essere raggiunti nel corso dell’incontro. È possibile che i due leader raggiungano un accordo di principio su alcune questioni, ma è improbabile che possano trovare una soluzione definitiva alle divergenze che li separano”, spiega l’espert- di Nyu.
“Tuttavia, penso che anche un semplice riavvio del dialogo tra Cina e Stati Uniti, come dimostra la macchina diplomatica già partita nei mesi scorsi, sarebbe un risultato positivo, in quanto contribuirebbe a ridurre le tensioni e a migliorare la comprensione reciproca”.
Per Carrai, in un mondo ideale, l’incontro tra Xi e Biden potrebbe rappresentare l’inizio di una nuova fase nelle relazioni tra Cina e Stati Uniti. “I due leader potrebbero concordare di lavorare insieme per affrontare le sfide globali, come il cambiamento climatico, la povertà, le pandemie e i conflitti oggi in corso. Tuttavia, questa è un’ambizione utopistica, che difficilmente potrà essere realizzata nel breve periodo. I rapporti tra Cina e Stati Uniti sono troppo complessi e conflittuali per poter essere risolti con un incontro. Per quanto esso potrebbe avere un impatto significativo sulle relazioni, è importante avere aspettative realistiche, e ci vorrà ancora tempo e molto political will per cambiare il corso dei rapporti”.