Conversazione con l’esperto editorialista, già direttore del Corriere della Sera: “L’Italia è cambiata, ma è cambiata anche la sinistra che ha una capacità di evocare i grandi temi sociali infinitamente inferiore a quella di una ventina di anni fa”
In caso di calo alle europee, spiega a Formiche.net l’ex direttore del Corriere della Sera, Stefano Folli, è chiaro che potrebbe manifestarsi per Elly Schlein il rischio di essere messa in discussione, ma il tema abbraccia anche i temi e le strategie, oltre che nomi e leader. Il riferimento è alle prospettive del Pd, schiacciato a sinistra e in difficoltà nel dialogare col centro, senza dimenticare che al momento “la proposta del Partito democratico è un po’ evanescente, proprio perché lo sforzo è soprattutto quello di parlare all’elettorato più di sinistra”.
Come è cambiata la piazza del Pd, dalle folle oceaniche di Cofferati contro Berlusconi alle minor presenze della Schlein contro la Meloni?
Era un’altra epoca, un altro contesto. Oggettivamente quelle folle sono impensabili oggi, perché non c’è più una capacità di trascinamento del sindacato come era allora. Oggi non ci sono più quelle battaglie corali. Insomma, l’Italia è cambiata, su questo non c’è dubbio, ma è cambiata anche la sinistra naturalmente, che ha una capacità di evocare grandi temi sociali infinitamente inferiore a quella di una ventina di anni fa. Quindi stiamo parlando di due mondi diversi.
Puntare tutto a sinistra, come sta facendo Schlein, quali controindicazioni comporta?
Di perdere la caratteristica riformista del Pd e di abbandonare frange di elettorato più moderato: è convinta di ritrovare l’elettorato di chi chiede una sinistra più dinamica, più movimentista e più incisiva. E quindi ritiene di trovare a sinistra quell’elettorato che eventualmente può perdere sul centro: è possibile in teoria, ma fino ad ora non è successo. Però è anche vero che non è passato molto tempo dell’insediamento della segretaria. Se c’è una cosa che colpisce è che la proposta del Partito democratico è un po’ evanescente, proprio perché lo sforzo è soprattutto quello di parlare all’elettorato più di sinistra che, quindi, non ama le ricette complicate mentre ama essere in piazza, magari ama misurarsi sui toni forti. Quindi resta intatto il rischio di perdere il contatto con una certa base sociale che è stata molto importante nella storia del centrosinistra, soprattutto in questi ultimi anni.
Come riaccogliere anche il centro e intercettare quei possibili elettori che, da un anno a questa parte, hanno scelto l’astensione?
Per adesso non mi sembra che questa sia l’intenzione. C’è sempre l’ipotesi di Calenda, ma anche lui, almeno in questa fase, mi sembra che abbia un modo di porsi che diventa abbastanza difficile da comporre con la voce di un Pd molto a sinistra. Magari in futuro le cose potranno cambiare, però allo stato attuale non mi sembra che ci sia una volontà di tenere dentro pezzi di centro. È una scommessa che si farà e vedremo come andrà.
Se alle europee il Pd scendesse sotto il 20% la segretaria verrebbe messa in discussione? Potrebbe accaderle ciò che successe alla delfina di Angela Merkel, Annegret Kramp-Karrembauer, durata pochissimo alla guida della Cdu tedesca?
Tutto è possibile. Io so che lei punta a raggiungere almeno il 24 o 25%, sempre in base all’intenzione di riportare alle urne l’elettorato di sinistra che, deluso, si è rifugiato nell’astensione. Certo, se questo obiettivo venisse mancato clamorosamente, non me la sento di dire oggi quale sarebbe la soglia. Ma certamente di fronte a un insuccesso piuttosto plateale sarebbe messa in discussione.
Più in generale nota una certa criticità nei partiti socialisti europei? Di fatto sono rimasti solo Scholz e Sanchez.
È chiaro che la socialdemocrazia variamente declinata è in difficoltà, non dimentichiamo però che si dà per quasi certa la vittoria dei laburisti il prossimo anno in Inghilterra. I laburisti inglesi sono una cosa diversa rispetto ai socialisti continentali, però io da un lato riconosco che c’è una crisi della socialdemocrazia e dall’altro dico di non arrivare a delle conclusioni un po’ semplicistiche.
Ovvero?
Si tratta di una fase. C’è l’esigenza di un rinnovamento di toni e di argomenti, anche del modo di parlare all’elettorato. Mi ha colpito, ad esempio, il discorso del vice cancelliere tedesco sull’antisemitismo di qualche giorno fa: un discorso molto forte e nobile, fatto non da un esponente socialista, non dal cancelliere, ma da un esponente di un’altra formazione politica che si colloca a sinistra, ma è una sinistra con delle caratteristiche diverse rispetto alla socialdemocrazia tradizionale. Il partito verde è una formazione che ha le idee molto chiare in politica estera, ad esempio non induge in ambiguità rispetto alla guerra in Ucraina o adesso al Medio Oriente. Quindi probabilmente la sinistra dovrà in prospettiva riconsiderare il proprio profilo e forse trovare un modo nuovo di comunicare con l’elettorato.
Sarebbe sufficiente un nuovo Blair, un nuovo blairismo, secondo la sua opinione o serve dell’altro?
Non farei collegamenti troppo stretti con la storia inglese che è un po’ diversa rispetto al resto dell’Europa e Blair riguarda la storia della Gran Bretagna.
Si parla poco, anche nel Pd, della cosiddetta agenda-Draghi. Pochi giorni fa l’ex premier ha ribadito alcune priorità strutturali per la nuova Ue. C’è chi lo sottovaluta per calcolo politico o perché ha detto cose scomode?
Draghi è forte di questa libertà riguadagnata, parla un linguaggio schietto e dice delle verità scomode. E direi che parla a tutto lo spettro politico, alla sinistra come anche al centro o anche al centrodestra. Sono convinto che una parte delle cose che Draghi dice andrebbero riprese, non per fare un meccanico riferimento ad un’ipotetica agenda Draghi, ma proprio perché il discorso sull’Europa di qualche giorno fa non ha nulla del manierismo tipico di certe posizioni della sinistra tradizionale che poi non scalda i cuori e non coinvolge gli elettori. Non dimentichiamoci che le stesse cose annunciate con un linguaggio nuovo e con una capacità di cercare i temi del mondo di oggi, non del mondo dell’altro ieri, possono invece secondo me parlare alla testa e oltre che al cuore degli elettori. E forse anche aiutare a riportare alle urne un po’ di quegli elettori di centrosinistra che non votano più.