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Tutte le incognite dopo il licenziamento di Sam Altman (e non solo) da OpenAI

Sam Altman - video Twitter

Il suo posto verrà ricoperto ad interim da Mira Murati, oggi Chief Technology Officer dell’azienda. Lascia anche Greg Brockman, presidente e cofondatore. La notizia, di cui neanche Microsoft era a conoscenza, ha sconvolto l’intera Silicon Valley. Ora in gioco c’è il futuro dell’azienda

In seguito “a un processo di revisione da parte del consiglio”, è stato deciso che Sam Altman “non è stato coerentemente sincero nelle sue comunicazioni, che non ha più la fiducia nella sua capacità di continuare a guidare OpenAI”. La durezza del comunicato con cui l’ormai ex Ceo è stato fatto fuori dalla società che ha contribuito a realizzare e a portare ai vertici del panorama mondiale lascia quasi senza parole. Lo stesso Altman sembrerebbe far fatica a comprendere la decisione che gli ha fatto svestire i panni dell’amministratore delegato, un ruolo che verrà ricoperto ad interim Mira Murati, Chief Technology Officer dell’azienda. “Mi è piaciuto molto il periodo trascorso in OpenAI. Per me è stato rivoluzionario e, si spera, anche per il mondo. Soprattutto, mi è piaciuto lavorare con persone così talentuose. Più tardi avrò altro da dire su quello che succederà”, ha scritto su X risultando sorpreso ed amareggiato. Poco dopo, ha postato una battuta dal retrogusto amaro: “Se comincio ad andare fuori di testa, il consiglio di amministrazione di OpenAI dovrebbe perseguirmi per l’intero valore delle mie azioni”. Poche le risate, tanti dubbi.

Per provare a mettere un po’ d’ordine, è intervenuto Greg Brockman, presidente e co-fondatore della società che ha cambiato il mondo dell’intelligenza artificiale, dimessosi dopo il siluramento dell’amico e collega. “Sono super orgoglioso di quello che abbiamo costruito insieme iniziando nel mio appartamento otto anni fa. Abbiamo attraversato insieme momenti difficili e momenti fantastici. Ma considerate le notizi di oggi, lascio. Continuo a credere nella missione di creare un’intelligenza artificiale generativa sicura e che porti benefici per l’umanità”. Poi ha provato a riassumere come siano andate le cose: un paio di riunioni su Google Meet schedulate poche ore prima dal board, con cui è stata comunicata ad entrambi la decisione. A Brockman avevano chiesto di rimanere all’interno dell’azienda – ma non sedendo più nel cda – perché “fondamentale”, ma è stato lui a compiere il passo indietro.

La vicenda è ancora troppo fresca per essere compresa a pieno, soprattutto per quel che riguarderà il prossimo futuro. OpenAI, così come tutta la Silicon Valley, devono ancora riprendersi dall’annuncio. In base a quanto scrive il Axios, Microsoft – azionista di minoranza (49%) dopo aver investito nella startup 13 miliardi di dollari – non era stata messa a conoscenza della decisione. Poco cambia, perché l’azienda “rimane impegnata nei confronti di Mira [Murati]”, ma non sarà stata felice di aver chiuso venerdì con un passivo dell’1,7%. Eppure, intervenendo al primo DevDay di OpenAI, il ceo Satya Nadella aveva dedicato parole d’amore al giovane talento di trentotto anni di Chicago che, in tempi record e anche grazie all’aiuto di Elon Musk, è riuscito a trasformare una piccola no profit in un punto di riferimento del settore.

Complice ChatGpt, tra gli strumenti più innovativi che fin qui abbiamo conosciuto, tanto da creare un prima e un dopo la sua comparsa. Tuttavia, ai benefici di una macchina capace di sostituire gran parte delle azioni dell’uomo, si accompagnano anche diversi rischi. Gli stessi su cui Altman – e non solo lui – stanno battendo il chiodo ormai da mesi, per sensibilizzare su un’IA Generativa davvero utile e non controproducente. “Man mano che sarà integrata ovunque, tutti noi avremo superpoteri su richiesta”, aveva dichiarato solamente giovedì in occasione dell’Apec, un giorno prima di venire licenziato.

Chissà che questa voglia di regolamentazione per imporre dei paletti alla tecnologia non si sia rivelata un boomerang. Forse però, a pesare ancor di più è stato un malcontento che iniziava a diffondersi nell’azienda, che ha portato alla “poca fiducia” nutrita ultimamente nei suoi confronti. Come raccontano fonti anonime al Washington Post, la smania di profitto di Altman e le sue ambizioni di portare OpenAI ai livelli delle grandi Big Tech, quando la missione con cui è nata era proprio di controbilanciare il loro strapotere e tenere l’IA fuori dalle mani del potere. Dando così un reale beneficio “a tutta l’umanità”. L’ex Ceo aveva iniziato ad assumere personale di Amazon Web Services, Apple, Meta e aveva iniziato a stringere rapporti con diversi capi di Stato, esportando il suo marchio in tutto il mondo.

Vere o no, le voci continueranno a circolare. Ora, però, c’è bisogno di pensare al dopo, seppur voltare pagina non sarà semplice né per la società né per il suo ex capo. OpenAI è infatti in trattative avanzate per chiudere un accordo che porterà il suo valore a 80 miliardi di dollari, quasi il triplo rispetto a un semestre fa, a conferma del grande lavoro che stava portando avanti Altman per far diventare il suo gioiello il più prezioso dell’East Coast americana, dietro solo a ByteDance e SpaceX a livello mondiale.

Per lui, invece, ha parlato il suo amico Brockman. “Per favore, non perdete tempo a preoccuparvi. Staremo bene. Arriveranno presto cose più grandi”, ha scritto nel suo messaggio di saluti. Solo quest’anno Altman, che non detiene alcuna quota di OpenAI, ha effettuato una dozzina di investimenti personali. Anche in passato aveva puntato su altre aziende, come quella di fusione nucleare Helion e quella di hardware AI Humane. Insomma, non resterà con le mani in mano. Ma vederlo lontano dalla sua creatura, magari addirittura in competizione, farà uno strano effetto.


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