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Perché politicizzare Tolkien è un errore. Parla Sassanelli

Si è innescato un grande dibattito a seguito dell’inaugurazione alla Gnam della mostra che ricorda i cinquant’anni dalla morte di Tolkien. Ma la politicizzazione è sbagliata: l’esposizione è un’operazione culturale di grande valore e per questo trasversale. Gli scritti dell’autore inglese ci ricordano che quando si vuole piegare qualcosa per fini ideologici non si finisce mai bene. Conversazione con il docente della facoltà Teologica Pugliese di Bari

Tentare di circoscrivere un artista del calibro di J.R.R. Tolkien nel perimetro delle ideologie è complesso. Anzi, pericoloso. Il rischio è infatti quello di perdere di vista la lettura autentica delle sue opere, a partire da quella più celebre: “Il Signore degli Anelli”. L’inaugurazione della mostra alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, dedicata allo scrittore inglese, è invece diventata immediatamente occasione di scontro politico. Probabilmente perché, nella superficialità del dibattito pubblico, si omette di ricordare che Tolkien è stato un riferimento per il movimento hippie dal 1968 in avanti, prima di entrare nel pantheon degli autori cari alla sfera culturale conservatrice. “Il grosso problema, quando si affronta la lettura di Tolkien, è l’interpretazione che si dà alle sue parole. Dipende dalle lenti che indossiamo per interpretare il suo pensiero spesso politicizzandone contenuti che l’autore ha espresso in modo del tutto scevro dalle dinamiche della contrapposizione ideologica”. La voce che scolpisce questa premessa metodologica e sostanziale è quella di Ivano Sassanelli, canonista e bioeticista, docente presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari e autore, tra gli altri, di “Tolkien e il vangelo di Gollum” (Cacucci editore, 2020) e di “Il Professore e il Poeta. Viaggio nel desiderio umano con Tolkien e Dante” (Dots Edizioni, 2023).

Professor Sassanelli, a chi parlano le opere di Tolkien?

Non parlano né alla destra né alla sinistra. Il problema è l’approccio con cui viene letto e interpretato l’autore, ribadisco. Peraltro è lui stesso che chiarisce questo concetto, ossia la differenza tra il significato autentico delle sue parole e le interpretazioni e applicazioni che ne vengono fornite, nella prefazione alla seconda edizione de “Il Signore degli Anelli”.

Come si spiega, allora, la polarizzazione del dibattito attorno a questo autore?

Perché la destra e la sinistra vedono nei testi di Tolkien ciò che a loro è più congeniale e arrivano ad assolutizzare certi concetti per sostenere – in un senso o in un altro – le loro tesi.

La mostra alla Gnam è “di destra”?

No, è un’operazione culturale di grande valore e ampio respiro. E, per questo, trasversale. Senz’altro per la realizzazione di questa esposizione è arrivato un input forte del ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, ma l’operazione intelligente è stata quella di averne affidato la curatela a due eminenti studiosi, tra cui Oronzo Cilli, che è il più grande biografo di Tolkien in Italia. In questo modo, anche grazie alla preziosa consulenza del professor Giuseppe Pezzini (docente a Oxford) si è riusciti ad andare oltre l’impulso politico. La politicizzazione è stata fatta da persone che, probabilmente, non hanno ancora visto la mostra.

L’esposizione nasce con una finalità ben precisa: celebrare i cinquant’anni dalla morte dell’autore.

Per la verità sono due le ricorrenze di quest’anno: la prima sono i cinquant’anni dalla scomparsa di Tolkien, ma si aggiunge anche la ricorrenza dei cinquant’anni dalla pubblicazione in italiano de “Lo Hobbit” per Adelphi.

Come si può arrivare a parlare di questo autore, senza per forza volerlo imbrigliare nei canoni della contrapposizione politico-partitica?

Semplicemente non bisognerebbe parlare di Tolkien solo quando si fa polemica politica. Bisogna passare dalla “informazione” alla “formazione” portando questo autore tra i banchi di scuola e nelle università, educando i giovani in questo senso. Vanno strutturati percorsi istituzionali e soprattutto organizzati insegnamenti e corsi universitari all’interno del mondo accademico. Va creata, insomma, una metodologia di studio in grado di stimolare la capacità critica nei giovani i quali possano riflettere su Tolkien in maniera seria, opportuna e corretta.

In che cosa ravvede l’attualità di questo autore?

L’averci ricordato che per fini politici non è opportuno e non è degno di un essere umano strumentalizzare l’arte e la creatività che da Tolkien stesso era considerata come un avvenimento, un dono. Il politico per eccellenza della Terra di Mezzo è Saruman, che viene spodestato a causa e per colpa del suo stesso “linguaggio mellifluo”. Gli scritti di Tolkien, dunque, ci ricordano che quando si vuole piegare qualcosa per fini ideologici non si finisce mai bene. Non è un caso infatti che l’autore contrapponesse la tecnica (ossia la magia) all’arte. Inoltre, Tolkien dice all’uomo e alla donna d’oggi che esiste un “tutto nel frammento” e che è doveroso recuperare il legame tra i trascendentali dell’essere: il bello, il buono e il vero. Solo aprendosi alla meraviglia, la bellezza può guidare verso la verità, disvelando la bontà insita nella storia del mondo e nella vita di ogni essere umano.


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