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Scioperi, così la Cgil rottama pluralismo e riformismo. L’opinione di Bonanni

Finché si è in tempo si cambi modo di fare, si ricostruisca il solido tessuto del dialogo tra parti sociali e si inizi con responsabilità una rinnovata stagione fondata sulla concretezza. Ripetere nelle piazze slogan che mettono in guardia dall’autoritarismo, non ha senso. Ecco perché secondo Raffaele Bonanni

Ed ecco che dopo il proclamato sciopero generale di venerdì 17 novembre di Cgil e Uil, ne arrivano ancora altri programmati: il prossimo venerdì 24 per il nord; lunedì 27 in Sardegna; venerdì 1 dicembre nel sud.

Si può dire che sono molto inusuali iniziative di proteste chiamate scioperi generali a “singhiozzo” o a “scacchiera” scadenzate nel tempo, con la presenza di categorie in alternanza, che si consumano comunque di venerdì e costringono i cittadini ripetutamente a disagi.

Ma queste legittime proteste non hanno le caratteristiche degli scioperi generali, peraltro proclamati senza la Cisl ancorata com’è alla cultura sindacale non antagonista labour cristiana di Giulio Pastore e Mario Romani. Questi scioperi chiaramente minoritari e dannosi segnalano ben altre gravi anomalie: il legame crescente con le sacche ribelliste e con i presidi del populismo. Esse ormai hanno sostituito il rapporto storico con le aree riformiste da cui traeva forza la coesione del pluralismo sindacale. Questa forza agiva positivamente nel confronto contrattuale ed economico con l’impresa, e costituiva un organismo sistemico in grado di compensare e indirizzare anche la sintesi in politica, in Parlamento; costituiva il collante per l’unità della Repubblica nelle grandi prove economiche e sociali.

Ed invece da qualche tempo la Cgil pare interessata a svolgere un altro compito: rappresentare il ponte di collegamento con la galassia ribellista ed antagonista, con il M5S, con rapporti più o meno di buon vicinato con il Pd. Questo spostamento d’asse sta provocando non pochi problemi alla governabilità del Paese, alla economia e al ruolo delle parti sociali; un varco inaspettato per gli avventuristi in politica di ogni colore, come in economia.

Lo aveva capito Mario Draghi intento a ridare un tessuto connettivo alla nazione quando invocò lui stesso un nuovo patto sociale con le componenti del lavoro italiano. Ma fu proprio Landini che clamorosamente lo rifiutò, con grande sollievo per chi già tramava a destra e a sinistra per far cadere il governo italiano più rispettato nel mondo nell’ultimo trentennio.

Dunque finché si è in tempo si cambi modo di fare, si ricostruisca il solido tessuto del dialogo tra parti sociali e si inizi con responsabilità una rinnovata stagione fondata sulla concretezza e sulla responsabilità. Ripetere nelle piazze slogan che mettono in guardia dall’autoritarismo, non ha senso con i comportamenti succitati. Casomai si deve comprendere che i poteri verticali vengono favoriti sempre dal malfunzionamento di quelli orizzontali. Come i diritti che si pretendono giustamente, ma senza considerare i doveri che li dovranno sorreggere.



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