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A un mese dall’attacco di Hamas, il rischio è in Cisgiordania. Conversazione con Dentice

Per il responsabile Mena del CeSI, l’esplosione di scontri in Cisgiordania potrebbe essere un detonatore per una nuova fase della guerra, mentre gli Usa muovono la diplomazia e Cina e Russia cercano di sfruttare la situazione per promuovere le narrazioni incendiarie anti-occidentali

Un mese fa esatto, Israele entrava nel momento più buio della sua storia. L’attacco sferrato da Hamas ha gettato un senso di insicurezza totale tra i cittadini, e il rischio è che per recuperare la condizione psico-sociale indotta dall’azione terroristica palestinese servirà molto altro oltre la (durissima) rappresaglia lanciata sulla Striscia di Gaza. E anche le notizie militari – come l’annuncio di giorni fa di aver diviso in due la Striscia e averla totalmente bloccata dall’interno – potrebbero essere non sufficienti. Perché, come spiega un cittadino israeliano, “ora il punto è capire cosa viene dopo, cosa dobbiamo ancora aspettarci dal futuro, e con il futuro intendo adesso”.

“Il discorso ‘Gaza’ sembra essere relativo, perché tutto ciò che si potrebbe innescare si sta già innescando: sia a livello regionale, perché è già una crisi regionalizzata, al di là del livello di conflittualità o meno; sia nel quadro interno”, spiega Giuseppe Dentice, Head del Mena Desk del CeSi che aveva già commentato con Formiche.net i fatti a caldo, mentre ancora le cellule infiltrate seminavano panico e orrore tra i territori israeliani aderenti alla Striscia.

Dentice con “livello interno” si riferisce innanzitutto alla Cisgiordania: “È quello il vero termometro della crisi, perché qualora le tensioni dovessero assumere dimensioni ulteriori, possibile visto anche il ruolo dei coloni ebraici, allora si creerebbe un ulteriore problema di sicurezza nazionale e ordine pubblico, con riflessi anche in questo caso regionali”. Perché? “Perché se scattano gli scontri in Cisgiordania — risponde — allora il rischio concreto è che si apra il fronte a nord di Gerusalemme nelle città arabo-miste, come Haifa, Ramla, Lod, che sono state i luoghi in cui ci sono stati i maggiori scontri della campagna del 2021, in un momento in cui si parlava di rischi di guerra civile. E questo potrebbe anche infuocare il fronte settentrionale, dove Hezbollah dichiara di ‘non voler essere attiva’, ma se iniziano questo genere di scontri i calcoli potrebbero cambiare”.

Secondo diverse valutazioni, Hezbollah è finora restato su un livello di ingaggio minimo, anche per evitare di finire oggetto di campagne militari americane. Ma potrebbe modificare la sua posizione se si dovessero verificare condizioni migliori, e lo stesso potrebbe fare l’Iran, che sta usando narrazioni assertive anche per avere un ruolo all’interno del mondo musulmano.

“C’è da considerare inoltre – continua Dentice –i Paesi arabi, che a distanza di un mese, sebbene abbiano subito un forte stress, restano comunque disimpegnati il più possibile, non volendo ruoli nella gestione della crisi, evitando di essere coinvolti tanto sul piano umanitario che su quello politico”. Perché? “Perché la questione palestinese è un problema divisivo anche all’interno delle collettività arabe e nella retorica politica araba, nonché dal punto di vista diplomatico perché, al di là dell’attuale governo, il tema della normalizzazione con Israele non dovrebbe essere destinata a morire: e però, quello che succede in Cisgiordania e quello che succederà ulteriormente a Gaza, con i piani di spingere i palestinesi verso il Sinai, potrebbero cambiare le cose e renderle intollerabili per i Paesi arabi”.

Sin da subito, quando Israele ha chiesto ai palestinesi di spingersi verso il sud della Striscia per non rischiare di finire sotto gli attacchi diretti contro Hamas, Paesi come l’Egitto hanno manifestato profonde perplessità arrivando addirittura a evocare una nuova Nakba.

E sul piano internazionale, tra episodi di antisemitismo, rischi di ispirazioni terroristiche, risoluzione della crisi per evitare che arrivi a toccare sfere che coinvolgono direttamente altre parti del mondo, in questo mese cosa si è visto? Per Dentice, gli Stati Uniti non abbandoneranno mai Israele, pur avendo nei fatti commissariato l’attuale governo gestendo in prima linea tutta la crisi, col fine innanzitutto di evitare tutti i modi la deflagrazione del conflitto a livello più ampio: “Su un lato opposto, Cina e Russia continueranno a usare la situazione per spingere le argomentazioni e le narrazioni incendiarie anti-occidentali, e lo faranno sia all’interno della Nazioni Unite, e all’interno dell’ambiente informativo, come d’altronde stanno facendo cercando di magnetizzare simpatie tra il mondo musulmano e di far penetrare la propaganda orientata”.



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