A poche settimane dall’apertura della Conferenza Onu sul clima, Pechino si impegna a monitorare e ridurre le emissioni più climalteranti. Lo sviluppo fa seguito alla quattro giorni tra gli zar del clima di Cina e Usa, Xie Zhenhua e John Kerry, che ha preparato il terreno per il summit Biden-Xi di settimana prossima
Riprende vita con un sussulto, dopo due anni di ibernazione, la speranza di un impegno cinese più marcato sul fronte del clima – che viaggia in parallelo all’engagement diplomatico con l’altro super-emettitore globale, gli Usa. Martedì Pechino si è impegnata a monitorare e ridurre le emissioni nocive di metano, il fulcro dell’intesa che aveva raggiunto con Washington a margine della Cop26 di Glasgow.
Il piano presentato dal ministero dell’Ambiente cinese non definisce gli obiettivi di riduzione e resta vago sulle tempistiche, ma assicura un’azione più “incisiva” per affrontare il tema cruciale delle emissioni di metano – che se rilasciato in atmosfera riscalda il pianeta 80 volte più della CO2, anche se si degrada nel giro di pochi decenni. Essendo la Cina il maggior emettitore di metano al mondo, il suo contributo in tal senso è fondamentale per mantenere accesa la speranza di contenere il riscaldamento globale entro la soglia di guardia di 1,5°: ridurre le emissioni di metano è tra le vie più rapide ed efficaci per farlo.
La svolta sembra essere il primo risultato concreto del rafforzamento del dialogo tra Pechino e Washington. Non è un caso che l’annuncio cinese sia coinciso con la fine della quattro giorni di lavori in California tra l’inviato cinese per il clima Xie Zhenhua e il suo omologo statunitense John Kerry. I due si erano già incontrati a luglio e avevano toccato il tema del metano; Xie aveva ammesso la debolezza cinese nel contenere le emissioni, e Kerry, parlando al Congresso Usa, aveva sottolineato come il settore fosse “particolarmente importante” per la cooperazione climatica con la Cina.
In gioco c’è anche la credibilità di Pechino come attore internazionale responsabile. Il Partito-Stato è sempre stato ambivalente sul clima, come dimostra la decisione di non sottoscrivere il Patto sul metano a trazione euroatlantica, firmato a Glasgow da 150 Paesi (mancano ancora Russia e India). La Cina trascina i piedi sullo stabilire obiettivi di decarbonizzazione ambiziosi e abbandonare il carbone pur di non limitare la crescita economica, ma al contempo è promotore del maggiore sforzo al mondo di installazione di impianti di generazione di energia pulita, lavorando su oltre cento impianti nucleari e installando tanti impianti solari ed eolici quanto tutti gli altri Paesi combinati.
È pur vero che le difficoltà economiche sul fronte interno stanno riducendo la domanda energetica cinese, cosa che dà al Partito più spazio di manovra sul lato della decarbonizzazione. E comunque resta il fatto che Pechino non si faccia troppi scrupoli nell’utilizzare il clima come gettone di scambio, parte del motivo per cui i progressi in materia hanno risentito del grande gelo nei rapporti con Washington e si stanno materializzando proprio oggi che ci sono segnali di miglioramento. L’incontro tra Kerry e Xie (che è in uscita a dicembre) a San Francisco è stato propedeutico a quello – attesissimo – tra i presidenti Joe Biden e Xi Jinping, appena confermato per il prossimo 15 novembre.
Da vedere se l’incontro tra i due leader al Summit Apec, che sarebbe il primo da quando si sono incontrati al G20 di Bali nel 2022, genererà impegni più consistenti da parte di Pechino. E da vedere come gli altri Paesi nella cornice della Cop28 vedranno le mosse cinesi all’interno di un dialogo che ruoterà attorno al finanziamento della transizione dei Paesi emergenti. Nel mentre, il presidente della Conferenza Sultan al-Jaber (che è anche ministro dell’Industria e della tecnologia avanzata degli Emirati Arabi Uniti) ha dichiarato che l’annuncio della Cina è un “passo cruciale per l’azione globale sul clima”.