Il governo ha da poco riorganizzato le otto Zone economiche speciali in un’unica grande area fiscalmente vantaggiosa per gli investimenti. Sulla carta tutto molto bello, ma senza una vera strategia industriale i risultati rischiano di essere modesti. Troppo. Ecco cosa ne pensano le spa italiane
Il Sud d’Italia ha una grande opportunità davanti a sé. E quella opportunità si chiama Zona economica speciale. Nei mesi scorsi, come raccontato da Formiche.net, il ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto, si è adoperato per creare un’unica, grande, Zona economica speciale per il Mezzogiorno, ponendo fine all’esperienza, finora non troppo felice, dei piccoli distretti meridionali posti alle spalle dei principali porti del Meridione. Questo il progetto del governo per avere al posto di tante piccole realtà a regime fiscale avvantaggiato, una sola, con l’obiettivo, dichiarato, di premiare le aziende già presenti sul territorio e quelle che intenderanno insediarvisi in futuro.
Una mossa che nasce dalla presa d’atto che la precedente organizzazione delle Zes, limitate alle aree retroportuali del Sud, non ha consentito di raggiungere appieno gli obiettivi posti alla base dell’introduzione di tale strumento, ovvero la necessità di attrarre investimenti nelle aree del Mezzogiorno maggiormente connesse ai flussi commerciali internazionali. Ora, fra i vantaggi della Zes unica, c’è sicuramente l’estensione dello speciale credito d’imposta a tutto il Sud, come peraltro spiega la norma che istituisce le stesse Zone economiche speciali: le nuove imprese e quelle già esistenti, che avviano un’attività economica o investimenti, possono usufruire di procedure semplificate e regimi procedimentali speciali, con accelerazione dei termini procedimentali ed adempimenti semplificati. Lo stesso credito d’imposta vale anche per l’acquisto di immobili strumentali agli investimenti.
Tra i sostenitori delle Zes c’è sicuramente Assonime, l’associazione delle spa italiane, che alla questione ha dedicato un approfondimento. L’idea è buona e vale la pena perseguirla, ma bisogna fare attenzione a mettere tutte le caselle al posto giusto, onde evitare un effetto controproducente. Le Zes “costituiscono uno strumento di politica industriale diffuso a livello globale, ad oggi, sono circa 6 mila in tutto il mondo, con un’alta concentrazione in Cina, volto ad attirare investimenti e attività produttive all’interno dei territori nei quali sono istituite facendo leva su incentivi fiscali, semplificazioni amministrative e misure di sostegno agli investimenti”, è la premessa.
L’esperienza maturata su scala globale conferma che, se adeguatamente progettate per attrarre investimenti, insediamenti produttivi e scambi commerciali, le Zone economiche speciali possono efficacemente favorire lo sviluppo dei territori e delle aree regionali economicamente più svantaggiate. Fino ad oggi le esperienze di maggior successo si sono avute in Cina, mentre in Europa, spicca il caso della Polonia per l’entità degli investimenti esteri attratti e per le ricadute positive sull’occupazione. Nell’attuale contesto storico e geopolitico, questo strumento di politica industriale offre opportunità di attrarre investimenti significativi in una prospettiva di riconfigurazione delle catene globali del valore”.
Già, ma l’Italia? O meglio, il caso italiano? “Se il rafforzamento nel coordinamento e nella costruzione di un quadro unitario centrale delle politiche per il Mezzogiorno, specialmente quelle che operano sulla riduzione del gap infrastrutturale e produttivo, è certamente una modifica auspicabile, è ancor più evidente il rischio che l’accentramento della governance trasformi le Zes concepite in origine, come detto, con ambiti territoriali delimitati in strumenti di politiche generaliste per il Mezzogiorno che storicamente hanno prodotto risultati assai modesti, sia in termini di capacità che di efficienza della spesa”.
Di qui un consiglio, allo stesso governo. “La riforma in corso deve essere, dunque, attentamente monitorata ed eventualmente aggiornata. La sostituzione delle attuali otto Zes, localizzate in aree specifiche vicino a porti, poli logistici e distretti industriali e capaci di generare fenomeni di agglomerazione produttiva, con una nuova Zes unica dovrà essere accompagnata da un progetto dettagliato e partecipato di politica industriale. In questo progetto occorrerà identificare, nel modo più ampio possibile, i settori in cui gli investimenti portano effettivamente uno sviluppo produttivo, spillover tecnologici e ricadute occupazionali, evitando, nel contempo, il disperdersi delle agevolazioni concesse”.
Non è finita. “Un ultimo, ma non certo secondario, punto da porre all’attenzione”, scrive Assonime, “riguarda la razionalizzazione delle misure fiscali. Sebbene l’intensità di aiuto prevista dalla Carta degli aiuti a finalità regionale sia notevole (fino al 60%, come detto, per le piccole imprese), preoccupa il fatto che il decreto Sud preveda l’applicazione del credito di imposta soltanto per il 2024, limitando ulteriormente l’orizzonte temporale agli investimenti realizzati nel periodo tra il 1° gennaio e il 15 novembre 2024. Tale orizzonte risulta troppo limitato per qualsiasi impresa che voglia programmare investimenti nel medio termine, agevolando, in questo modo, solo gli investimenti già programmati, con una modesta capacità di promuoverne di aggiuntivi”.