Fonti americane riportano l’avvio del processo di allagamento dei tunnel di Hamas da parte delle Idf, incalzate da pressioni estere, per velocizzare la distruzione degli stessi. Ma ci sono alcune controindicazioni
Le pressioni politiche verso Israele e la sua gestione dell’operazione militare a Gaza continuano a crescere col passare del tempo. Mentre l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite chiede un cessate il fuoco con il voto favorevole di tre quarti degli Stati membri, il presidente statunitense Joe Biden ha dichiarato che Israele ad ora gode del sostegno della “maggior parte del mondo”, compresi gli Stati Uniti e l’Unione Europea, per la sua lotta contro il gruppo militante palestinese Hamas, ma che essa stia “iniziando a perdere questo sostegno a causa dei bombardamenti indiscriminati che avvengono”. Prendendo anche una posizione di divergenza nei confronti di Benjamin Netanyahu e della linea dura del suo approccio, e sottolineando come Israele “non possa dire di no” a uno Stato palestinese indipendente.
Di fronte a questo grado di pressione internazionale crescente, le Israeli Defence Forces (Idf) stanno accelerando il ritmo delle operazioni a Gaza. Alcuni ufficiali della US Army, che sono costantemente aggiornati dai colleghi di Tel Aviv, hanno riportato l’impiego di sistemi di pompaggio di acqua marina da parte delle Idf con l’obiettivo di allagare i tunnel utilizzati da Hamas, velocizzando il processo di neutralizzazione delle infrastrutture considerate come cruciali per la conduzione delle operazioni di Hamas sul campo di battaglia. Questi tunnel non vengono infatti utilizzati soltanto per le manovre dei miliziani all’interno del campo di combattimento, ma anche come deposito per razzi e munizioni, e come rifugio per i propri leader, i quali possono svolgere le funzioni di Command e Control in relativa prossimità al teatro operativo.
Allo stesso tempo, tramite l’allagamento si limiterebbe l’esposizione al rischio dei soldati israeliani, riducendo di conseguenza le perdite. Un principio cardine della strategia di Israele, che proprio per questo ha impiegato in modo estensivo droni ed altre armi autonome o semi-autonome dentro ai tunnel.
La scelta di allagare i tunnel, già presa in considerazione da diverse settimane, è stata però oggetto di critiche dentro e fuori il Paese. In alcune registrazioni trapelate la settimana scorsa tra Netanyahu e le famiglie degli ostaggi liberati, gli israeliani hanno sottolineato al primo ministro i timori dell’eventualità che i propri connazionali potessero rimanere coinvolti, intrappolati nelle gallerie di Hamas. Timori espressi anche dello stesso presidente Biden, che non ha fatto riferimento diretto all’azione di Israele, ma che si è limitato a sottolineare come l’allagamento dei tunnel potrebbe influire sugli oltre 100 ostaggi ancora detenuti da Hamas. Biden ha detto che sono state fatte affermazioni secondo cui “non ci sono ostaggi in nessuno di questi tunnel […] Ma non lo so per certo”.
Accanto a queste preoccupazioni vi sono anche quelle che riguardano il rifornimento di acqua per la comunità di Gaza. C’è il precedente del 2015, quando l’Egitto ha usato l’acqua di mare per allagare i tunnel gestiti dai contrabbandieri sotto il valico di frontiera tra Rafah e Gaza: in quell’occasione gli agricoltori del posto hanno protestato per il danneggiamento dei propri raccolti, dovuto proprio all’allagamento egiziano.
Una scelta rischiosa, dunque, che però potrebbe ridurre costi e tempistiche del raggiungimento degli obiettivi militari. Fattori che pesano in un contesto in cui lo sganciamento delle Idf dalla Striscia di Gaza viene augurato a voce sempre più alta dalla comunità internazionale.