Chi ha diritto di parola in Italia, soprattutto attraverso i talk show, ci racconta una favola ben diversa, ci fa vedere una nazione che non esiste. E vorrebbe quasi convincerci che tutto va bene. Non è così purtroppo e sembra proprio che nessuno abbia una ricetta per invertire la rotta se perfino la Chiesa vive uno dei momenti più problematici della sua storia. A cosa aggrapparsi? La riflessione di Gennaro Malgieri
La decadenza morale degli italiani è stata certificata dal Censis nel suo ultimo rapporto. Le cifre parlano chiaro. Dalla caduta dei valori tradizionali dipende il disfacimento sociale. Sembra che non si creda più in niente. Si vive in una sorta di “sonnambulismo”, come scrive l’istituto di ricerca, dal quale è impensabile, nei prossimi decenni, tirarsi fuori.
La vita della maggioranza degli italiani è scandita da un relativismo etico che fa il paio con un egoismo collettivo che è cresciuto negli ultimi trent’anni e del quale la classe dirigente del Paese – politici, intellettuali, economisti, orientatori del pensiero – non si sono minimamente accorti e chi ha avuto il sentire della regressione morale della nazione s’è voltato dall’altra parte.
I numeri parlano chiaro. Il 74% degli italiani è favorevole all’eutanasia, il 70,3% sostiene l’adozione per i single, il 54,3% si batte per lo stesso provvedimento a beneficio delle coppie omosessuali. Il 65,6% appoggia il riconoscimento del cosiddetto matrimonio egualitario tra persone dello stesso sesso, mentre il 72,5% è favorevole allo ius soli. Quest’ultimo è il salto finale del muro della identità. Infatti, mentre lo “ius soli” fa riferimento alla nascita sul territorio dello Stato si contrappone, tra i mezzi di acquisto del diritto della cittadinanza allo “ius sanguinis”, sostanziato dall’elemento della discendenza o della filiazione. Per i Paesi che applicano lo “ius soli” è cittadino originario chi nasce sul territorio dello Stato, indipendentemente dalla cittadinanza posseduta dai genitori. La legge 91 del 1992 indica invece il principio dello “ius sanguinis” come unico mezzo di acquisto della cittadinanza a seguito della nascita, mentre l’acquisto automatico della cittadinanza “iure soli” continua a rimanere limitato ai figli di ignoti, di apolidi, o ai figli che non seguono la cittadinanza dei genitori. Sul tema, non di poco momento, il Parlamento da tempo immemorabile fa orecchie da mercante: sembra che nessuno voglia prendere tra le mani una tale patata bollente.
Intanto gli italiani sono sempre di meno. Oltre a non fare figli – la sindrome delle culle vuote – la nazione si spopola. Nel 2040, scrive il Corriere della sera sintetizzando il report del Censis solo una coppia su 4 avrà figli (il 25,8% del totale) ed allora i single saranno quasi 10 milioni (il 37% del totale).
Nel 2050, tra ventisette anni, l’Italia avrà perso complessivamente 4,5 milioni di residenti, cioè la somma di due città come Roma e Milano, sottolinea il quotidiano di via Solferino. In pratica spariranno 3,7 milioni di persone con meno di 35 anni e al tempo stesso aumenteranno di 4,6 milioni le persone con più di 65 anni, di cui 1,6 milioni con più di 85 anni.
Inoltre l’emigrazione che ha connotato la storia nazionale nel Novecento e che credevamo riposta nella nostra memoria, ritorna prepotentemente. Insomma emigrati eravamo e tali siamo rimasti: quasi 6 milioni di italiani oggi sono residenti all’estero, pari a più del 10% della popolazione globale. E questi numeri sono superiori a quelli dell’immigrazione: 5 milioni, infatti, sono gli stranieri residenti in Italia, vale a dire l’8,6% della popolazione. Gli italiani che si sono stabiliti all’estero sono aumentati del 36,7% negli ultimi dieci anni: quasi 1,6 milioni in più. Espatriano soprattutto i giovani tra i 18 e i 34 anni, 36.125 nell’ultimo anno: questa la triste notizia che ci reca il Censis rilanciata dai quotidiani. Non c’è da stare allegri.
Mancano politiche demografiche, di incoraggiamento alla natalità, alla naturale convivenza abrogata dalla discussione culturale, alla famiglia tradizionale, i mezzi di comunicazione invitano a vivere come se fossimo in un parco giochi. L’Italia invece agonizza. È affetta da “ipertrofia emotiva”, come dice il Censis. Ha paura. L’84% dal clima impazzito, il 73,4% dai problemi strutturali, il 73% dall’incontrollabile migrazione afro-asiatica convinti che non la sapremo gestire. E infine, il 53% degli italiani teme il collasso finanziario dello Stato, il 60% è preoccupato dall’esplosione di un conflitto globale come lo è il 50% per la sicurezza soprattutto a fronte del terrorismo.
Un quadro desolante. Di fronte al quale l’ottimismo dei politici soprattutto e degli imbonitori mediatici non fa che aggravare i timori dei cittadini, mentre moralmente il Paese affonda.
Chi ha diritto di parola in Italia, soprattutto attraverso i talk show, ci racconta una favola ben diversa, ci fa vedere una nazione che non esiste. E vorrebbe quasi convincerci che tutto va bene. Non è così purtroppo e sembra proprio che nessuno abbia una ricetta per invertire la rotta se perfino la Chiesa vive uno dei momenti più problematici della sua storia. A cosa aggrapparsi?