L’economista, già ministro dell’Industria, spiega perché cooperare e discutere è importante, a patto che non ci si racconti delle favole. Oggi il mondo funziona ancora a petrolio, dal summit nel Golfo arriveranno solo spunti e poco più. La Cina? L’Europa stia attenta a non legare la sua transizione a quella del Dragone
Non si può certo dire che siano mancate le buone intenzioni alla Cop28 in corso a Dubai (qui l’intervista al presidente della Fondazione Symbola, Ermete Realacci). Nel Golfo sono arrivati i rappresentanti di 200 governi da tutto il mondo, nonostante alcuni grandi assenti: il presidente americano Joe Biden, il leader cinese Xi Jinping.
Cuore dei lavori, che dureranno fino al 12 dicembre, l’obiettivo di 1,5 gradi di limitazione del riscaldamento globale, raggiunto a Parigi, e sull’eliminazione dei combustibili fossili, tema chiave proprio negli Emirati Arabi Uniti, una delle dieci principali nazioni produttrici di petrolio al mondo. Obiettivi certamente condivisibili e auspicabili, ma realmente possibili? Formiche.net ne ha parlato con Alberto Clò, economista e già ministro dell’Industria nel governo Dini.
“Questi appuntamenti creano molte illusioni, sul fatto che le cose possano andare diversamente. Ho da poco letto un rapporto che spiega come nel 2022 sia aumentato il supporto dei governi alle fonti fossili, questo ci dice quanto gli idrocarburi siano ancora centrali. Per questo dico che è molto facile fare dei sogni facili, pensando alla Cop28”, mette subito in chiaro Clò. “Tuttavia questi sono passaggi inevitabili, che possono anche segnare dei passi in avanti. Non possiamo sparare sulla Croce Rossa, la cooperazione è d’altronde la strada da percorrere e la Cop28 lo dimostra. Ma da qui a pensare che ci sia una svolta nel breve termine e che questa arrivi dal Golfo, ce ne vuole”. Insomma, discutere va bene, confrontarsi anche. Ma credere che da Dubai parta la rivoluzione culturale verde è una forzatura.
“Credo che difficilmente si arriverà a una dichiarazione congiunta che estromette il petrolio, ricordiamoci che siamo negli Emirati Arabi, che l’oro nero lo producono e lo esportano”, ammette l’economista. Il quale sposta poi l’attenzione sui singoli terreni, partendo da Europa e Cina. “Le politiche green europee sono costosissime e conseguono risultati minimali, abbiamo speso miliardi per il solare e l’eolico, ma la quota che queste fonti coprono è irrisoria. Adesso bisognerà vedere cosa succederà con le elezioni di giugno. Un’affermazione delle destre, per esempio, non sarà un bene per la transizione, abbiamo visto molti partiti di destra opporsi a certe politiche climatiche”.
L’altra partita si gioca in Cina. “Di tutte le nazioni, quella cinese è sicuramente quella a cui bisogna guardare con maggiore attenzione. Lì la transizione porterà i suoi maggiori risultati, l’Europa potrebbe finire col dipendere dalla Cina, legata mani e piedi, se non si crea una transizione indipendente. Il rischio è che l’Ue faccia con la Cina quello che ha fatto con la Russia, ovvero dipendere dal suo gas. Insomma, al di là di Dubai, della Cop28, la questione è capire se e come l’Europa riuscirà a svoltare nella transizione e come possa evitare una dipendenza cinese”.