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Le linee rosse che collegano Ucraina, Medio Oriente e Asia delineate da Lesser (Gmf)

Secondo il vicepresidente del German Marshall Fund non c’è un collegamento diretto tra il conflitto in Ucraina, le altre crisi in corso e i processi elettorali del prossimo anno. Ma ci si deve soffermare piuttosto sulle reciproche influenze

Mentre negli Stati Uniti prosegue la discussione sul via libera ad un nuovo pacchetto di aiuti all’Ucraina, a Kyiv Volodymyr Zelensky annuncia la fine della controffensiva e l’inizio di una nuova fase della guerra. Su cui però pesano sia l’avvicinarsi delle consultazioni elettorali in Occidente che le altre situazioni di tensione nello scenario globale. Ma qual’è esattamente il loro peso? Ian Lesser, vicepresidente del German Marshall Fund, ha fornito la sua interpretazione della questione a Formiche.net

Come crede che la “crescente stanchezza delle opinioni pubbliche” in Occidente possa impattare sul conflitto in corso in Ucraina? E in quale misura?

Credo che su entrambe le sponde dell’Atlantico sia improbabile che il sostegno dell’opinione pubblica verso Kyiv possa rimanere a livelli così alti come lo è stata negli ultimi due anni. Ma credo che il sostegno popolare per l’Ucraina non verrà meno, e che allo stesso tempo l’opinione pubblica assumerà un atteggiamento sempre più cinico nei confronti della narrativa di Mosca. Ma la lunga durata che sta caratterizzando questo conflitto implica che tanto le opinioni pubbliche quanto le élites al potere inizino a chiedersi quando questo conflitto finirà. E come si può sbloccare la situazione di stallo attualmente in corso lungo la linea del fronte. Lo scontro sul budget per gli aiuti all’Ucraina in corso a Washington è una questione molto più legata alla polarizzazione della politica statunitense che a quella del conflitto in Ucraina. Ciò non toglie però che l’Ucraina sia comunque vittima delle dinamiche politiche statunitensi. E con l’approssimarsi delle elezioni del prossimo anno, la situazione non diventerà di certo più facile.

Il 2024 sarà un anno elettorale non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa e in Russia. Quanto crede che il conflitto in Ucraina impatti sul processo elettorale, e viceversa?

La situazione è differente nei differenti Paesi. Non credo che negli Stati Uniti il conflitto in Ucraina sarà decisivo per l’esito delle elezioni, su cui invece peseranno altre questioni, dall’economia alla gestione dei confini, fino alla personalità dei candidati. Sicuramente nella situazione attuale ci sono sfide di carattere politico, che si accompagnano a quelle di carattere operativo. Ad esempio, c’è stata una forte riluttanza nel fornire a Kyiv determinati sistemi d’arma terrestri e/o aerei che gli avrebbero permesso di condurre operazioni militari full-spectrum e di colpire bersagli in profondità oltre le linee russe. L’Ucraina non può svolgere queste azioni con il materiale di cui dispone attualmente. E anche qualora si optasse per rifornire Kyiv con simili capacità, rimarrebbero comunque problemi legati alla logistica e ai rischi di un “utilizzo improprio”. In questa situazione di impasse, con la controffensiva ucraina che non ha raggiunto gli obiettivi che tanti si aspettavano, il dibattito politico-strategico diventerà ancora più intenso.

Il conflitto in Ucraina non è l’unico a protrarsi in questo preciso momento. A Gaza gli scontri tra Israeli Defence Forces ed Hamas continuano da svariate settimane. E Stoltenberg si è recato a Riad pochi giorni fa. Vede una linea rossa che collega questi due conflitti?

Personalmente non vedo alcuna sorta di connessione tra questi due conflitti. Hanno origini diverse, contingenze diverse, e questioni strategiche diverse. Non ci sono collegamenti primari. Le connessioni si formano quando Mosca sfrutta la crisi in medio oriente per promuovere i suoi obiettivi politici. E vi è anche certamente la questione della “distrazione” di Stati Uniti ed Europa, una questione molto rilevante. Ma i conflitti di per sé non hanno nessun tipo di collegamento diretto. Ma c’è una connessione politica, specialmente negli Usa, riguardo alle spese per la difesa. E credo che la visita del Segretario Generale della Nato a Riad sia legata proprio al timore che la Russia si avvantaggi della situazione. Oltre che ai timori dei membri dell’Alleanza rispetto a possibili spill-over delle violenze, escalation di teatro che coinvolgano altri attori, ma anche prospettive di nuovi attacchi terroristici “motivati” dal conflitto. Tematiche d’interesse sia per la Nato in sé che per i singoli Stati-membri. Che possono essere particolarmente specifiche.

A cosa fa riferimento?

Penso ad un altro elemento che è necessario considerare, ovvero la sicurezza marittima e la libertà di movimento attraverso il Mar Rosso e gli stretti. Negli ultimi mesi il numero di attacchi contro vascelli mercantili e/o assetti navali è aumentato drasticamente. Qualora questo trend perdurasse, è probabile che le richieste a Europa e Stati Uniti di intervenire militarmente nell’area per prevenire simili attacchi da parte dell’Iran e delle milizie ad esso affiliate si farebbero ancora più forti. Penso che anche questo aspetto sia stato toccato da Stoltenberg durante la sua visita.

Cosa pensa invece del rapporto tra il conflitto Ucraina e le crescenti tensioni nel continente asiatico?

Anche in questo caso non vedo connessioni causali dirette. Ma, anche in questo caso, vi è la fondamentale questione della “strategic distraction”, questione che è ancora più di peso per quello che riguarda l’Indo-Pacifico, alla luce della lunga contrapposizione tra teatro europeo e teatro asiatico per la suddivisione delle risorse di cui dispongono gli apparati della difesa. Ovviamente questa questione tocca maggiormente gli americani, ma anche gli europei ne sono in qualche modo toccati. Il costante spostamento di risorse statunitensi dall’Asia all’Europa non è stato, e non sarà, certo privo di conseguenze.

La deflagrazione del conflitto in Ucraina ha sicuramente influenzato il pivot to Asia statunitense. È stato solo un rallentamento temporaneo o crede che in qualche modo abbia costretto Washington a rivedere le sue prospettive?

Penso che questo spostamento di attenzione, a cui si associano un riadattamento nella postura militare e nell’approccio strategico, sia una sfida fondamentale. E lo scoppio della guerra in Europa, cambiando i termini dell’equazione pre-esistente, la resa ancora più difficile. Gli Stati Uniti si trovano oggi a fronteggiare scenari di crisi tanto nel Pacifico quanto in Europa, dovendo allocare risorse in entrambi i teatri per garantire un’efficace deterrenza o per sostenere la difesa. A questo si aggiunge il riaccendersi delle tensioni in Medio Oriente e nel Mediterraneo Orientale, che non sono certo una “nuova sfida” per Washington. Ma che adesso sono tornati alla ribalta, e richiedono maggiori attenzioni. E maggiori costi.


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