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Al Consiglio europeo si parla anche di Israele e Hamas. Obiettivi e complessità

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Condanna terroristica di Hamas e tentativi di evitare l’espansione della guerra al West Bank. Ecco le richieste sul tavolo e i dossier aperti riguardo Gaza al vertice europeo

Durante l’EuCo (acronimo internazionale del Consiglio europeo) i leader dei Paesi membri dell’Ue discutono anche di Medio Oriente. All’incontro di oggi a Bruxelles, l’unione arriva con posizioni diverse espresse anche durante il voto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite — con Paesi come Francia e Spagna che hanno votato a favore della mozione promossa per chiedere il cessate il fuoco, mentre altri come Italia e Germania hanno preso una posizione più favorevole alle necessità israeliane scegliendo l’astensione.

Il premier belga Alexander De Croo, il Taoiseach irlandese Leo Varadkar, il leader maltese Robert Abela e il premier spagnolo Pedro Sánchez arrivano al tavolo del Consiglio chiedendo anche “il divieto di viaggio e il congelamento dei beni dei coloni violenti che attaccano e sfollano le comunità palestinesi” in Cisgiordania. Ossia vogliono che l’Ue prenda una posizione simile a quella promossa dagli americani. L’obiettivo sarebbe creare un deterrente per evitare che nel West Bank si crei una situazione di scontro interno tra israeliani e palestinesi che si somma alla crisi militare nella Striscia. La promessa europea di sostenere una soluzione a due Stati diventa nulla se l’Ue permette al governo di Benjamin Netanyahu di rendere impossibile uno Stato palestinese sostenendo attivamente i coloni, hanno spiegato a Politico diplomatici europei (evidentemente a favore della proposta).

La gestione è delicata, perché — come ha recentemente ricordato il presidente statunitense Joe Biden — il rischio è che il consenso attorno alla risposta israeliana possa esaurirsi. Washington chiede un piano sin dai primi giorni di invasione della Striscia, perché teme che i danni collaterali dell’operazione per punire Hamas possano essere eccessivamente pesanti senza una vera soluzione per Gaza. Ad essa dovrebbe poi unirsi la questione più ampia, i due Stati di cui si è tornato a parlare con estrema insistenza dopo l’esplosione delle violenze successive al sanguinoso attentato di Hamas del 7 ottobre.

I numeri danno ragione a Biden. Nel giro di un mese, dopo la prima risoluzione onusiana per chiedere l’accesso umanitario a Gaza, la seconda richiesta — stavolta più esplicita sul cessate il fuoco — è stata votata favorevolmente da 33 Paesi in più (un totale di 153). Il linguaggio di questa ultima risoluzione è duro con Israele (pesano le 18mila vittime nella Striscia, danni collaterali eccessivi) e gli effetti regionali, dunque internazionali.

In questo contesto, i Paesi europei sentono varie forme di pressione (non ultima quella legata alle dinamiche interne tra partiti in vista delle Europee del prossimo anno). Quello che Biden chiama “bombardamento indiscriminato” a Gaza è recepito con difficoltà dalle opinioni pubbliche europee. Ma è anche evidente che — come sul sostegno all’Ucraina — non possono esserci spazi per crepe. Chi utilizza la crisi di Gaza per spingere la narrazione anti-occidentale si nutre di certe situazioni (che per altro sono fisiologiche e figlie delle complessità del dibattito democratico).

Anche per questo, in una lettera separata, i ministri degli Esteri di Francia, Germania e Italia stanno chiedendo sanzioni su Hamas, per colpire le finanze del gruppo terroristico e contribuire a “delegittimare Hamas a livello internazionale, che non rappresenta in alcun modo i palestinesi”. Punire il terrorismo è un obiettivo globale, che in parte legittima l’azione israeliana. Ma nello specifico la questione ha un ulteriore livello di complicazione, che riguarda il come la mossa possa essere percepita a livello locale, dove il procedere della guerra ha spostato più palestinesi verso Hamas di quanto non ne abbia allontanati.

Da aggiungere: parlando con Al Monitor nel suo ufficio di Doha, lunedì, Mousa Abu Marzouk ha suggerito che il gruppo militante con sede a Gaza avrebbe riconosciuto di essere a un passo dalla fine delle lunghe divisioni tra le fazioni palestinesi e la necessità di compattarsi con l’Olp. L’Olp, Organizzazione per la liberazione della Palestina, è il gruppo ombrello, riconosciuto a livello internazionale, per la maggior parte delle fazioni palestinesi, esclusi Hamas e la Jihad islamica, ha formalmente riconosciuto il diritto di Israele di esistere e ha rinunciato al terrorismo nel 1993. In cambio, Israele ha accettato l’Olp come rappresentante del popolo palestinese.

Per Israele, certe considerazioni come quelle di Marzouk (anche se vanno prese per ciò che valgono) sono frutto della pressione militare esercitata sul gruppo che controlla la Striscia. Per Usa e Ue un puntello a supporto dell’idea di affidare il controllo dei Territori palestinesi a un’autorità rinnovata e rinvigorita, dopo la guerra, obliterando Hamas e aprendo, anche con questo, la strada verso l’agognata soluzione a due Stati.


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