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Il destino del mondo non si deciderà (solo) a Dubai. La Cop28 vista da Realacci

Orfano di papa Francesco, Joe Biden e Xi Jinping, l’appuntamento con la lotta al cambiamento climatico nel Golfo avrà il suo senso e i suoi effetti benefici. Ma non sarà risolutivo, perché il cambio di passo lo si ottiene anche in altri consessi. E comunque oggi un cinese inquina meno di un americano

La Cop28 in corso a Dubai non sarà la fine del lassismo formato globale sulla lotta al cambiamento climatico. Ma qualcosa si smuoverà, nonostante le assenze, pesanti, di Joe Biden e Xi Jinping, oltre che di Papa Francesco, quest’ultimo fermato da motivi di salute. Ermete Realacci, uno dei padri dell’ambientalismo europeo, già parlamentare di lungo corso e oggi presidente della Fondazione Symbola, legge più o meno così l’appuntamento nel Golfo con la salvezza del Pianeta.

A poche ore dal rientro dal Quirinale, dove ha consegnato al Capo dello Stato, Sergio Mattarella, insieme a Unioncamere, l’ultimo rapporto Greenitaly, Realacci non si mette certo a dribblare la domanda, quando gli si chiede un’impressione della prima ora sul summit emiratino. Che potrebbe essere l’ennesimo flop. O forse no.

“La Cop28 non sarà un flop. L’economia e la società vanno più veloce di quanto si pensi, dobbiamo tenere presente come i Paesi del Golfo stiano investendo molto sulle rinnovabili e questo porterà a loro molti soldi. Emergerà sicuramente una linea da questo appuntamento”, spiega Realacci. “E questo tenendo presente che la Cop è una delle sedi dove si decide il destino del mondo e il cambio di passo nella lotta ai cambiamenti climatici. Perché quanto Biden incontra Xi Jinping, anche per dare un segnale geopolitico, ci si incontra anche per parlare di clima e pianeta. Questo per dire che non dobbiamo caricare la Cop di eccessive aspettative, la transizione si fa anche in altre sedi”.

Volendo però cercare un rebus, salta subito in mente la Cina. Il Dragone è il primo produttore mondiale di auto elettriche, il primo fornitore globale di pannelli fotovoltaici, eppure inquina più di tutti. Un paradosso. Ma Realacci mette subito in chiaro un concetto. “Guardi che la Cina si è mossa con grande determinazione sul fronte della green economy, il pensiero corre subito a pannelli e auto elettriche. Ma lo sa che oggi un cinese inquina la metà di un americano in termini di Co2 e più di un italiano e il doppio di un indiano? Non voglio dire che siano tutti innocenti, ma se il metro di misura è il calcolo pro-capite, allora sono più avanti. Xi Jinping ha detto che il picco delle emissioni in Cina arriverà nel 2030, ma è assai probabile che si anticipi la tabella di marcia. Insomma, il Dragone si sta muovendo”.

Conclusione. “La Cop non sarà né un successone, né un flop. Non dimentichiamoci mai le variabili a cui ho fatto cenno prima. Pensiamo solo all’Europa, che oggi militarmente è zero e anche politicamente, ma è il più grande mercato aperto del mondo. E questo vuol dire che se il Vecchio continente fa il suo, allora qualcosa a livello globale cambia. Potremmo partire proprio dal messaggio, nemmeno tanto subliminale, contenuto nell’ultimo rapporto Greenitaly, giunto alla sua quattordicesima edizione: oggi serve un’economia, e anche una transizione a misura d’uomo. E le imprese che investono nella sostenibilità, stanno meglio. Lo dimostra lo stesso rapporto”.



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