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Biocarburanti, spunti di riflessione per l’Ue. L’analisi di Chiaramonti (PoliTo)

Di David Chiaramonti

Quanto emerso dalla Cop28 di Dubai offre dei motivi di riflessione alle istituzioni europee e potrà porre le basi per la definizione di policies più efficaci e delle roadmap più bilanciate. Senza ridurre l’ambizione né creare tensioni sociali, ma assorbendo l’innovazione tecnica ed infrastrutturale nei tempi che il sistema energetico e dei combustibili per trasporti, richiede. L’analisi di David Chiaramonti, vicerettore del Politecnico di Torino, ordinario di Sistemi per l’energia e l’ambiente

Forse non molti avranno notato questa frase all’Articolo 28 del documento “Decision -/CMA.5. Outcome of the first global stocktake”, redatto a conclusione della COP28 di Dubai: “Riconosce inoltre la necessità di riduzioni profonde, rapide e durature delle emissioni di gas serra emissioni di gas in linea con i percorsi di 1,5°C e invita le Parti a contribuire ai seguenti sforzi globali, in modo determinato a livello nazionale, tenendo conto dell’Accordo di Parigi e delle diverse circostanze, percorsi e approcci nazionali: [..] (G) Accelerare la riduzione delle emissioni derivanti dal trasporto stradale lungo una serie di percorsi, anche attraverso lo sviluppo delle infrastrutture e la rapida diffusione di veicoli a zero e a basse emissioni”.

La menzione sui veicoli a basse emissioni è, oggettivamente, un passaggio molto importante (di cui in gran parte va dato merito all’azione del nostro Paese, anche presente nella Global Biofuel Alliance), che conferma – se mai ve ne fosse ulteriore necessità – come a livello globale si tengano in considerazione tutte le soluzioni tecniche in grado di contribuire alla decarbonizzazione nel settore trasporti.

I biocarburanti sono un riconosciuto ed oggettivo elemento cardine di qualsiasi strategia di decarbonizzazione dei trasporti, ovviamente assieme a tutti gli altri, a partire dall’elettrificazione dei trasporti, degli eFuels ed, in futuro, dell’idrogeno (di varia natura, sia verde che low emission).

Peraltro – se ben fatti – possono contribuire ad affrontare altre gravi criticità dovute al cambiamento climatico, offrendo soluzioni sinergiche: ad esempio, nel settore della produzione primaria food, dove possono contribuire ad una agricoltura più sostenibile attraverso rotazioni ed una maggiore attenzione alla salute del suolo.

Più che chiedersi quanto l’agricoltura può offrire alla produzione di biocarburanti, ci si dovrebbe dunque domandare cosa i mercati delle energie rinnovabili ed in particolare delle bioenergie possano offrire alla transizione verso una agricoltura rigenerativa e più sostenibile.

Al contempo, tornando al tema della decarbonizzazione, è dimostrato come i biocombustibili possano già oggi essere persino Carbon Negative (quindi oltre Net Zero, un obiettivo che le altre soluzioni faticano a realizzare). Una soluzione sia tecnicamente sia economicamente molto competitiva rispetto ad altre quali Dacs (Direct Air Capture and Storage). Possibile sia nel campo del biometano (già Carbon Negative, se prodotto da deiezioni animali secondo modelli quali il Biogas Done Right Italiano) che in quello dei biocombustibili liquidi (con la produzione di biochar da residui).

Se prodotte in modo sostenibile le biomasse hanno quindi molto da offrire, e soprattutto qualcosa di diverso e complementare ad altre rinnovabili variabili (solare ed eolico). Ma non godono spesso di adeguata attenzione, e di valutazioni equilibrate.

Nel 2020, a seguito del Covid, con due colleghi greci ed olandesi lavorammo ad un articolo, poi pubblicato nel 2021 , dal titolo “Post Covid-19 Recovery and 2050 Climate Change Targets: Changing the Emphasis from Promotion of Renewables to Mandated Curtailment of Fossil Fuels in the EU Policies”. A causa della crisi climatica e degli effetti di questa – ormai tangibili, era chiaro già da tempo come fosse necessario porre al centro dell’azione il taglio dei combustibili fossili, e non più limitarsi alla promozione delle fonti rinnovabili. Ovviamente l’analisi di allora pandemica ancora non poteva immaginare gli effetti della crisi energetica (prima) ed ucraina (immediatamente a seguire), e le conseguenze più sistemiche e strutturali di queste crisi rispetto a quelle legate al virus.

La Cop28 ha mandato segnali importanti – per la prima volta, in quel contesto – proprio nella direzione della riduzione dei contributi fossili, e questo era a nostro avviso tecnicamente inevitabile ed improcrastinabile già a quel tempo.

Inoltre, di ciò ormai tutti gli attori in gioco sono consapevoli, e sicuramente oggi sia i policy makers europei e nazionali, che le aziende e gli investitori nel settore energetico, hanno messo in campo risorse e sviluppato programmi significativi, come notavamo anche nel nostro articolo.

Ma già nel 2020 si indicava la necessità di creare roadmaps in grado di consentire una transizione efficace (cioè in grado di consentire il raggiungimento degli obiettivi in tempi definiti e credibili) e al contempo socialmente accettabile.

Per questo, la stabilità delle politiche e dei mercati è una condizione necessaria per poter rispondere in tempi rapidi all’apparire di soluzioni innovative nel sistema energetico e liberare gli investimenti, che richiedono condizioni prive di rischio e tempi certi.

A livello globale, la maggioranza delle regioni del mondo hanno inserito nella loro strategia di decarbonizzazione i biocarburanti sostenibili, proprio per i benefici che questi possono offrire – in combinazione a soluzioni innovative quali la tecnologia ibrida nei trasporti. Tra queste, America Latina, US e Canada, India, etc. Questo approccio, bilanciato nei confronti di tutte le soluzioni possibili, consente di costruire dei percorsi efficaci sia dal punto di vista del conseguimento degli obiettivi climatici sia sostenibili dal punto di vista sociale, offrendo il tempo necessario ad introdurre nel sistema dei trasporti (incluso le relative infrastrutture) la transizione all’elettrico ed all’idrogeno. Senza cioè rinunciare all’ambizione, ma accompagnando la transizione in modo efficace.

Come abbiamo già trattato su queste pagine, si tratta di seguire valutazioni di tipo well-to-wheel, e non tank-to-wheel, come la Commissione europea-JRC stessa ha osservato nei suoi studi, oltre che la nostra comunità accademica. Ignorare tutto ciò che sta a monte del serbatoio è metodologicamente errato, e porta a delle conseguenze che poi, nel lungo termine, rischiano di minare la credibilità della transizione stessa, creando tensioni non giustificate. Confrontare – come spesso leggiamo – un veicolo elettrico con uno ibrido alimentato a combustibili rinnovabili senza tenere in considerazione tutto ciò che sta a monte ed a valle del veicolo, è tecnicamente errato.

Parlare di biocombustibili conoscendo poco – e quindi trascurando – la parte “bio” conduce a valutazioni sbilanciate e penalizzanti per tutto quanto non è elettrico, per il solo fatto che non vi è “carbonio” nel motore. Ma non è il carbonio il nemico, in particolare quello biogenico, ma le emissioni di CO2 fossile in atmosfera. Operare scelte su questa base dunque non è giustificabile.

Le altre aree del mondo, rispetto all’Europa, appaiono più equilibrate, e stanno sviluppando in parallelo tutte le soluzioni possibili, dai biofuel all’elettrico, agli eFuels, all’idrogeno, ecc. L’Europa ha sin qui tenuto una linea diversa, trascurando le opportunità che le filiere bio possono offrire, e collocandole esclusivamente sui settori hard to abate, aviazione e marittimo. Settori su cui peraltro non si può che concordare, ma il cui shift a combustibili rinnovabili presenta numerose complessità, soprattutto in virtù dei molti vincoli posti dalla Commissione stessa su materie prime e tecnologie, ad esempio. Ciò significa costi maggiori e tempi più lunghi, se non si interverrà sulla normativa.

In conclusione, dunque, quanto emerso dalla Cop28 offre dei motivi di riflessione alle istituzioni europee, e potrà porre le basi per la definizione di policies più efficaci e delle roadmap più bilanciate, senza ridurre l’ambizione né creare tensioni sociali, ma assorbendo l’innovazione tecnica ed infrastrutturale nei tempi che fisiologicamente il sistema energetico e dei combustibili per trasporti, notoriamente molto rigido, richiede.

Se in Europa ciò non avverrà, le conseguenze nel breve-medio termine potranno essere molto serie: una maggiore presenza di combustibili fossili, una perdita di credibilità del sistema europeo nel caso di non conseguimento degli obiettivi ambientali (su cui invece c’è ormai accordo unanime), e una maggiore distanza del nostro continente dalle altre principali aree del mondo e dalle loro politiche agricole e industriali.

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