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Piano Mattei e pragmatismo. La Cop28 e le ricadute per l’Italia spiegate da Gava

La valenza strategica dell’accordo finale raggiunto alla Cop28 è sotto gli occhi di tutti, sia per l’Italia che per l’Unione europea. Ribadiamo la posizione dell’Italia, che ha sempre rappresentato la necessità di un processo graduale per evitare che la transizione ecologica. Le risorse del Climate Fund costituiscono una base finanziaria che rafforza le intenzioni strategiche del Piano Mattei. In questo senso sarà fondamentale il ruolo delle aziende pubbliche. Conversazione con il viceministro al Mase, Vannia Gava

L’accordo raggiunto al termine di Cop28 rappresenta “un punto di svolta rispetto alle 27 precedenti edizioni della conferenza delle parti sul cambiamento climatico”. Pragmatismo, coinvolgimento delle aziende a partecipazione pubblica e sprint sul Piano Mattei. Il viceministro all’Ambiente e Sicurezza Energetica, Vannia Gava a Formiche.net, tratteggia le direttrici e descrive l’impatto che l’accordo raggiunto alla Cop28 avrà per il nostro Paese.

Il 70% del Climate Fund italiano è stato destinato all’Africa, è questa la base finanziaria del Piano Mattei?

Sicuramente le risorse del Climate Fund costituiscono una base finanziaria che rafforza le intenzioni strategiche del Piano Mattei che ha, tra i principali obiettivi, quello di rendere il nostro Paese hub energetico del Mediterraneo e dell’Europa. Si tratta di un progetto basato sulla collaborazione con il continente africano, che non significa fare beneficenza ma consentirgli di competere in condizioni di parità, aiutandolo a prosperare con le proprie risorse. Il Mase la considera una regione geografica di primaria importanza per le nostre politiche ambientali e climatiche. A livello bilaterale, abbiamo investito oltre 50 milioni di euro in progetti di cooperazione per assicurare ai Paesi africani l’accesso a fonti energetiche sicure, sostenibili, moderne. In questi giorni abbiamo firmato un accordo con l’Uganda per favorire lo sviluppo sostenibile in quei territori. Naturalmente non è solo Africa. Risultato concreto della Cop28 è un primo stanziamento sul “loss and damage fund” creato per risarcire i Paesi poveri per perdite e danni dovuti alla crisi climatica. L’Italia è il primo contributore con 100 milioni di euro. Queste sono azioni concrete.

Attraverso quali direttrici si intendono investire questi soldi?

Con pragmatismo. Va superato il paradigma del finanziamento a pioggia non controllato e prendere esempio dalle recenti esperienze, come il Pnrr, vale a dire darci delle scadenze temporali precise con precisi obblighi di rendicontazione. Dobbiamo agire soprattutto sulla capacità infrastrutturale. Rendere l’Italia un hub energetico significa potenziare le reti di trasmissione e rafforzare anche la capacità organizzativa amministrativa dei Paesi africani che collaboreranno con noi.

Qual è la valenza strategica per l’Italia dell’accordo raggiunto alla Cop28?

La valenza strategica dell’accordo finale raggiunto è sotto gli occhi di tutti, sia per l’Italia che per l’Unione Europea. È noto come l’Ue sia molto ambiziosa rispetto ai traguardi da raggiungere per la lotta ai cambiamenti climatici e la decarbonizzazione. Altrettanto nota, però, è la posizione dell’Italia, che ha sempre rappresentato la necessità di un processo graduale per evitare che la transizione ecologica ed energetica si trasformi in un bagno di sangue sociale ed economico. Per questo un accordo concreto come quello raggiunto a Dubai segna un punto di svolta rispetto alle 27 precedenti edizioni della conferenza delle parti sul cambiamento climatico. Lo attueremo con convinzione secondo i principi di gradualità e neutralità tecnologica.

Come si immagina in questo contesto il ruolo delle aziende partecipate dallo Stato?

Il ruolo del sistema economico italiano delle aziende pubbliche e private è fondamentale. Uno degli insegnamenti di questa Cop è che la lotta ai cambiamenti climatici deve essere inclusiva, cioè non deve essere tema appannaggio soltanto dei governi ma una sfida collettiva, che riguarda tutti. La sostenibilità è un valore aggiunto per le imprese, private o pubbliche che siano. Consente, infatti, non solo di rivolgersi alla tutela del bene comune ma di essere competitive in termini di qualità ed efficienza. Ci attendono grandi investimenti, penso al capitolo aggiuntivo RepowerEU del Pnrr, anche legati al piano Mattei. Qui sarà importante e strategico il ruolo delle grandi aziende pubbliche, come Eni, per il raggiungimento del traguardo della decarbonizzazione al 2050.

A valle degli investimenti, quali pensa possano essere le ricadute per il sistema energetico italiano?

Innanzitutto l’indipendenza energetica. Non dimentichiamo che, soltanto due anni fa, con l’esplodere del conflitto russo ucraino, l’Italia si è scoperta fragilissima in tema di infrastrutture energetiche e di dipendenza dall’estero. Rischiavamo di non poterci più scaldare nelle nostre case né di alimentare le nostre aziende. Grazie al lavoro fatto, oggi questo tema è superato. Lo stoccaggio del gas ha raggiunto percentuali mai viste prima, siamo in sicurezza, ma per esserlo ancora di più metteremo in campo notevoli finanziamenti, a partire da quelli del RepowerEU, che si muovono su tre direttrici fondamentali: indipendenza, sicurezza e resilienza della nostra rete energetica, un mix energetico che va dalle rinnovabili a, speriamo molto presto, il nucleare. Siamo impegnati su questo fronte.

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