A poche ore dall’annuncio della sua realizzazione, vari asset marittimi stanno convergendo verso l’area d’interesse dell’operazione multinazionale Prosperity Guardian. Nella cui area di operazioni il numero di atti ostili si è moltiplicato a vista d’occhio durante le ultime settimane
Prosperity Guardian è oramai sul punto di essere lanciata. Ma la nuova operazione navale congiunta a trazione statunitense, il cui scopo è quello di garantire la sicurezza marittima nel Mar Rosso (e in particolare attorno all’area di Bab el-Mandeb), è stata costituita all’interno della Combined Task Force 153 e prenderà ufficialmente avvio quando tutti gli asset coinvolti saranno fisicamente presenti nell’area. La coalizione multinazionale coinvolta nell’operazione, di cui oltre agli Usa fanno parte vari Paesi tra cui potrebbe aderire anche l’Italia — perché la presenza italiana era fondamentale, come ha spiegato su queste colonne il senatore Marco Dreosto, segretario della Commissione Esteri e Difesa — intende incrementare le capacità militari disponibili nella regione, sia per aumentare l’efficacia deterrente dell’operazione in sé, che per trasmettere un messaggio sulla propria risolutezza a combattere ogni tipo di atto ostile.
Intanto, numerose unità americane stanno convergendo verso il teatro operativo di Prosperity Guardian. Nei giorni scorsi il Carrier Strike Group Eisenhower è transitato nella zona del golfo di Aden, e incrocia a poco meno di 200 chilometri da Bab el-Mandeb. Il gruppo comprende la portaerei ammiraglia Uss Diwght D. Eisenhower (CVN-69), e le navi della sua scorta, cioè l’incrociatore lanciamissili Uss Philippine Sea (CG-58) e i due cacciatorpediniere della classe Arleigh-Burke Uss Gravely (DDG-107) e Uss Stethem (DDG-63). Nel frattempo, anche le navi d’assalto anfibio Uss Bataan (LHD-5) e Uss Carter Hall (LSD-50) hanno raggiunto le acque a Nord dello stretto, mentre la nave da combattimento costiera Uss Indianapolis (LCS-17) si è avvicinata alla zona delle operazioni, transitando dal golfo di Hormuz al golfo di Oman. E anche il gruppo della Uss Gerald Ford (CVN-78), attualmente orbitante nel Mediterraneo Orientale, rimane pronto a intervenire in caso di necessità.
Tra le unità attualmente in transito verso l’area delle operazioni sono incluse anche unità afferenti a Marine militari diverse da quella statunitense, come la fregata spagnola della classe Santa-Maria Esps Victoria (F82) e il cacciatorpediniere indiano Ins Mormugao (D-67).
Al momento, nell’area di interesse sono già presenti tre vascelli statunitensi, i tre cacciatorpediniere Uss Carney (DDG-64), Uss Mason (DDG-87) e Uss Thomas Hudner (DDG-116); accanto a loro, incrociano nella zona anche il cacciatorpediniere inglese Hms Diamond (D-34) e la fregata francese Fs Languedoc (D-653). Durante gli ultimi giorni tutti questi asset hanno intercettato e distrutto armi lanciate dallo Yemen verso bersagli navali nel Mar Rosso, tra cui missili da crociera guidati, missili balistici a corto raggio e decine di droni Shahed di fabbricazione iraniana. La sola Carney ha abbattuto 14 droni, lanciati dal territorio yemenita e diretti contro bersagli nel Mar Rosso, nella giornata del 16 dicembre.
Nelle settimane immediatamente successive all’operazione terroristica di Hamas del 7 ottobre, e in particolare in seguito al verificarsi della risposta militare israeliana, è stato registrato un incremento significativo in questo genere di attacchi. Soltanto tra il 25 novembre e il 15 dicembre sono state segnalate 15 azioni di carattere ostile nell’area, una cifra che non considera atti senza conseguenze concrete. I rischi di disruption del traffico commerciale a causa di eventi simili in una tratta così importante come quella del Mar Rosso (dove passa circa il 12% del commercio mondiale, per oltre 1.000 miliardi di dollari di merci all’anno) hanno spinto gli attori internazionali a perseguire una risposta rapida e concreta.
La quale dovrebbe avere comunque un carattere prettamente difensivo (almeno per ora). L’intento fondante di questa operazione non è quello di scortare le singole navi di passaggio ma bensì di fornire una “protezione a ombrello” dell’area, impiegando i sofisticati sistemi d’arma in forza ai vascelli impegnati nell’operazione in una sorta di “bolla Anti-Access/Area Denial” capace di rilevare e neutralizzare efficacemente ogni sorta di minaccia. Non è ancora chiaro al momento se le regole di ingaggio permetteranno invece azioni offensive di sorta contro le fonti di queste minacce, per via del rischio concreto che tali azioni potrebbero avere su un eventuale processo di escalation (che forse alcuni attori potrebbero voler ricercare) nella regione mediorientale.