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Via della Seta, Fardella spiega l’approccio soft cinese all’uscita italiana

“Pensare a delle ritorsioni da parte cinese è legittimo ma getterebbe una pessima luce sulla Belt and Road Initiative”, dice Enrico Fardella, professore associato all’Università di Napoli L’Orientale e promotore del progetto China Med

Il fatto che la decisione del mancato rinnovo del memorandum d’intesa tra Italia e Cina sulla Belt and Road Initiative, la cosiddetta Via della Seta, sia stata presa senza dichiarazioni ufficiali sembra confermare la tenenza che vede Pechino “cercare di evitare contrapposizione frontali”. A spiegarlo a Formiche.net è Enrico Fardella, professore associato all’Università di Napoli L’Orientale e promotore del progetto China Med.

Uno dei principali timori in Italia per una decisione che Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, aveva promesso in campagna elettorale era quella di ritorsioni da parte cinese. Ieri, poco dopo la rivelazione del Corriere della Sera, Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri, ha tenuto a spiegare che è già stata convocata per l’anno prossimo a Verona la riunione intergovernativa Italia-Cina per affrontare tutti i temi di commercio internazionale. “Continuano ad esserci ottimi relazioni e rapporti, pur essendo un Paese che è anche un nostro competitori a livello globale”, ha continuato, spiegando che la Via della Seta “non ha prodotto gli effetti sperati, anzi” e che “la non partecipazione” non è “un’azione negativa nei confronti della Cina”.

La mossa ha inevitabilmente suscitato anche la reazione della Cina che, per bocca del portavoce della diplomazia Wang Wenbin, ha dichiarato di “opporsi alla denigrazione e al sabotaggio dell’iniziativa, così come al confronto tra blocchi”. La cosiddetta Via della Seta “è un’iniziativa di successo e la più grande piattaforma al mondo di cooperazione tra Paesi”, ha aggiunto.

“Pensare a delle ritorsioni da parte cinese è legittimo”, commenta Fardella, “anche se ciò getterebbe una pessima luce sulla Belt and Road Initiative. Peraltro, in una fase di riavvicinamento tra Cina e Stati Uniti e in prossimità delle celebrazioni dei 60 anni di relazioni sino-francesi del gennaio prossimo, Pechino dovrebbe cercare di smussare gli angoli ed evitare contrapposizioni frontali”, continua. Ecco spiegato il perché di una comunicazione data al pubblico dai media e non da dichiarazioni ufficiali. “Potrebbe confermare questa tendenza”, dice Fardella.

La decisione “era già anticipata da tempo ma è giunta in seguito all’approvazione dello Strumento anti-coercizione dell’Unione europea e alla viglia del summit Ue-Cina che inizia oggi a Pechino”, osserva ancora l’esperto. Lo strumento rappresenta un mezzo di “di difesa collettiva a livello di Unione europea in caso di azioni coercitive da parte di Pechino. Esso, infatti, prevede la possibilità di imporre quote alle importazioni – la Cina è più dipendente dalle sue esportazioni verso l’Unione europea di quanto questa non lo sia nei confronti della Cina –, restrizioni alle esportazioni, limitazioni ai diritti di proprietà intellettuale, alla partecipazione alle procedure di appalto pubblico e agli investimenti diretti esteri, restrizioni all’accesso ai servizi bancari e ai mercati finanziari europei, e persino sanzioni mirate a ‘persone fisiche e giuridiche’ se agiscono per conto del governo”, conclude.

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