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Governance sanitaria, dove va l’Italia? Parla Barni (Confindustria DM)

Tre i pilastri della nuova governance: programmazione sanitaria non per prestazioni ma per patologia, allocazione delle risorse in base ai fabbisogni e non ai tetti di spesa e maggiore rilievo all’Health technology assessment. Senza dimenticare il superamento definitivo del payback. Intervista a Nicola Barni, neo presidente di Confindustria Dispositivi medici

La stato salute dei cittadini è strettamente interconnesso con lo stato di salute del nostro sistema sanitario. Sebbene sia sempre più chiaro, agli occhi degli stakeholder, non sempre le policy adottate sembrano tenerne conto. Per questo è fondamentale immaginare una governance sanitaria che muova proprio a partire da questa consapevolezza. Anche perché “una nuova governance del settore rappresenta l’unica soluzione valida e alternativa per ridisegnare la sanità del futuro”. Parola di Nicola Barni, nuovo presidente di Confindustria dispositivi medici che ha raccontato a Formiche quali saranno le azioni da mettere in campo durante la sua presidenza, dall’innovazione tecnologica alla questione dei tetti di spesa, dal payback al Pnrr, dal reshoring all’accesso alle cure.

Governance dei dispositivi medici: quali sono le tre priorità della sua presidenza?

Siamo in un momento cruciale per il nostro sistema sanitario e ripensare una nuova governance del settore significa lavorare per garantire la sostenibilità del sistema e al tempo stesso valorizzare l’utilizzo delle tecnologie mediche per sostenere ogni percorso di cura del paziente. La nostra proposta di governance si articola su tre pilastri: un cambio di approccio nella programmazione sanitaria non più incentrata sulle singole prestazioni, ma per patologia. In secondo luogo, la programmazione sanitaria dovrebbe allocare le corrette risorse sulla base dei fabbisogni di salute e non sui tetti di spesa. Ancora, l’innovazione tecnologica andrebbe valutata attraverso l’Health technology assesment (Hta), garantendo percorsi accelerati di introduzione dell’innovazione. È chiaro che questa visione del sistema è percorribile solo se si eliminano i tetti di spesa e il payback.

Decisione Tar Lazio, un traguardo o un punto di partenza?

La decisione del Tar del Lazio di rimandare alla Corte costituzionale il giudizio sul payback è un passaggio fondamentale che ha portato, a ragione, una ventata di ottimismo e ci darà modo di riprendere il dialogo istituzionale e di guardare più fiduciosi al futuro. L’ordinanza ha accolto, in sostanza, i ricorsi con tutte le motivazioni presentate dai legali delle nostre imprese e ha definito in modo netto la differenza tra il farmaco e il dispositivo medico, chiarendo l’impossibilità di applicare con un copia-incolla il sistema del payback al nostro settore. Ma la priorità resta il suo superamento definitivo, perché permane uno scenario di incertezza, che non fa bene all’industria. Infatti, secondo una recente indagine del Centro studi di Confindustria dispositivi medici sull’impatto del payback sulle imprese del settore, l’incertezza generata dalla norma ha causato una situazione di stallo per un’industria innovativa: il 61% delle aziende ha bloccato le assunzioni, mentre il 31% ha fatto ricorso ai licenziamenti. Sono, inoltre, 4 aziende su 10 ad aver ridotto gli investimenti in ricerca e sviluppo, mentre il 27% ha avviato procedure di cassa integrazione. Ma non solo, la situazione di incertezza sta avendo anche un impatto diretto sulla sanità pubblica e sulla qualità tecnologica dei dispositivi medici disponibili destinati alla cura del cittadino: più della metà delle aziende (61%) si sta astenendo dalla partecipazione alle gare pubbliche, limitando al mercato privato le soluzioni più avanzate (54%) privando, di fatto, la stragrande maggioranza degli italiani delle migliori tecnologie disponibili e limitando gli investimenti nella formazione della classe medica (54%). E nel futuro la situazione non migliorerà: di qui al 2028, 8 aziende su 10 limiteranno l’uso di tecnologie avanzate nelle gare italiane, 7 aziende su 10 dichiarano di prevedere di rivolgersi prevalentemente ai mercati esteri e la riduzione delle assunzioni riguarderà il 72% delle imprese.

Sempre a proposito di payback, spesso ci si sofferma sul perché rappresenti uno strumento dannoso per il settore, ma non altrettanto spesso si propongono soluzioni alternative per superare questo meccanismo. Lei ha qualche suggerimento?

Abbiamo iniziato a lavorare con un gruppo di esperti per presentare delle proposte concrete che guardino alla sostenibilità del sistema e superino il payback. Siamo fermamente convinti che una nuova governance del settore, che ho appena illustrato a grandi linee nella risposta precedente, sia l’unica soluzione valida e alternativa per ridisegnare la sanità del futuro e dare valore alle tecnologie che ogni giorno pensiamo e immettiamo sul mercato per andare incontro ai singoli bisogni di salute dei cittadini. Una governance che sia quindi “inclusiva”, in grado di rappresentare il valore di tutte le tecnologie e soluzioni oggi e domani disponibili, a prescindere dalla loro percezione di complessità. Una governance concreta, credibile e documentata, sostenuta dal contributo delle società scientifiche e delle associazioni di pazienti, e supportata da evidenze non solo cliniche, ma anche economico-organizzative e di sostenibilità sociale.

Pnrr, quanto sarà utile per il comparto non sulla carta, ma a livello pratico?

Il Pnrr è un’opportunità che va colta per ripensare il Servizio sanitario nazionale e incentivare lo sviluppo di nuovi modelli di assistenza sanitaria, che considerino il contributo delle più moderne tecnologie e che garantiscano realmente la continuità delle cure tra ospedale, territorio e domicilio, colmando anche il divario fra le regioni e riducendo quindi le diseguaglianze nell’accesso alle cure. Nel mio programma di presidenza ho voluto inserire l’istituzione di un comitato permanente sul Pnrr proprio per dare il nostro contributo come comparto e poter avanzare proposte concrete per indirizzare al meglio i fondi a disposizione della Missione 6.

Quanto siamo lontani, in Italia, dal capire che lo sviluppo della tecnologia in ambito sanitario si ripercuote positivamente anche sugli assetti geopolitici e sulla forza del nostro Paese all’interno del contesto internazionale? È stato fatto qualche passo in avanti in tal senso?

Durante la pandemia è stato evidente a tutti cosa abbia significato per l’Italia non avere accesso immediato ai dispositivi medici, obbligando il Paese a ricorrere all’importazione di prodotti, non sempre aderenti al 100% ai requisiti di sicurezza. Oggi sembra ce lo siamo dimenticato e anche per questo vogliamo proporre un piano per incentivare le politiche di sviluppo industriale nel nostro Paese, a prescindere dalla provenienza del capitale. Vanno supportate tutte le nostre imprese che vogliano continuare a produrre in Italia e le multinazionali che vogliono investire. Il tavolo Mimit rappresenta una buona opportunità per trovare insieme alle istituzioni soluzioni per portare l’Italia ai primi posti nel mondo anche in questo settore, valorizzando una filiera di 4400 imprese (molte delle quali start-up o imprese di piccole e medie dimensioni), che impiega 120.000 addetti con un fatturato stimato di circa 17 miliardi. Vanno implementate politiche d’incentivi fiscali per tornare a produrre in Italia, favorendo il reshoring, incentivando le politiche fiscali sul lavoro, sulla produzione, l’assunzione di giovani, la riduzione dei costi dell’energia. Dobbiamo ascoltare le necessità industriali, e soprattutto favorire l’esportazione dei nostri prodotti, puntando a una bilancia commerciale attiva, favorendo l’ingresso di capitale estero. Serve una politica industriale espansiva, che incentivi l’innovazione, la ricerca e lo sviluppo di competenze.

Parliamo ora di territorio. L’accesso alle cure, e alla diagnostica, è profondamente iniquo nel nostro Paese. Perché lo ripetiamo tutti ma non riusciamo a uscirne?

Stiamo attraversando un momento cruciale per i sistemi sanitari europei, e quello italiano in particolare, in cui bisogna rispondere a un fabbisogno di salute che sta cambiando profondamente, mettendo a nudo le fragilità strutturali e le contraddizioni accumulatesi nello scorso decennio. Credo che se riusciremo a cogliere questa come un’opportunità e se sapremo utilizzare bene le risorse del Pnrr, si potrà disegnare una Sanità più equa e moderna, colmando il divario fra le regioni e riducendo quindi le diseguaglianze nell’accesso alle cure. La strada è ancora lunga, ma sono convinto che una forte collaborazione tra industria e istituzioni insieme all’adozione delle tecnologie mediche e digitali per ripensare un percorso di cura più vicino al domicilio del paziente, siano la strada giusta da percorrere per riorganizzare un Servizio sanitario innovativo e moderno.

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