Hamas (come il presidente russo) ritiene che le pressioni internazionali renderanno l’offensiva israeliana certo capace di mettere in difficoltà l’organizzazione, ma non in grado di soffocarla definitivamente. Anzi: l’effetto desiderato da Hamas per la gente di Gaza è esattamente quello che sta crescendo a dismisura, cioè l’odio assoluto verso Israele. L’analisi di Roberto Arditti
Basterebbe osservare con attenzione le mosse di Vladimir Putin, di fatto il miglior interprete planetario della brutalità che pervade le relazioni internazionali, per capire il senso profondo di quanto sta accadendo a Gaza. I fatti sono semplici, nella loro drammatica violenza: dopo una settimana di tregua con annesso scambio di ostaggi (90 circa quelli rilasciati da Hamas) da sabato sono riprese le attività militari nella striscia di Gaza, compresi i massicci bombardamenti dell’aviazione israeliana.
Ma perché la tregua è finita? E, soprattutto, cosa cerca il movimento politico/terroristico palestinese nel momento in cui (mai come ora) ha gli occhi del mondo intero puntati addosso?
La risposta c’è e va accettata in tutta la sua drammatica essenza: la pace è cosa buona per noi europei ricchi ma logori, mentre invece non serve più di tanto da quelle parti dove sono tutti giovani, dove la morte è visibile e presente da mattina a sera, dove manca la ben che minima dialettica democratica tra il popolo e la classe dirigente.
Occorre capire una volta per tutte che Hamas si nutre della guerra, perché da essa trae potere e con essa controlla la situazione, tacciando (e uccidendo) ogni forma di dissenso che diventa subito tradimento: esattamente così è stato nei mesi della presa del potere a Gaza oltre dieci anni fa, con una vasta campagna di omicidi mirati nella dirigenza dell’Anp.
Diciamolo in modo secco una volta per tutte: Hamas preferisce i bombardamenti alle trattative, questo deve essere compreso in Europa e negli Stati Uniti. E vi sono (almeno) tre solidi motivi che portano l’intera dirigenza del movimento a pensarla in questo modo.
Il primo è che Hamas non può accettare il “compromesso” come logica nei suoi rapporti con gli ebrei e con lo Stato d’Israele.
Se lo fa diventa una Anp qualsiasi, come quella del vecchio e bolso Abu Mazen in Cisgiordania. Per questo ha concepito l’offensiva brutale del 7 ottobre, nella piena consapevolezza che dopo una giornata come quella ogni ponte di trattativa è distrutto per sempre.
In secondo luogo per ragioni tutte interne al mondo musulmano, ragioni che devono combattere il vero nemico mortale di tutta questa storia, cioè l’accordo tra Israele e Arabia Saudita. E siccome questo accordo ha retto egregiamente nel primo mese dopo quel sabato spaventoso, ecco che occorre rompere la logica della trattativa per bloccare ogni processo di normalizzazione della situazione, processo che Teheran non vuole e non vorrà e che Ankara è pronta a sostenere solo se può collocarsi al centro della trattativa (cosa che i sauditi non consentiranno mai e poi mai).
Infine c’è la scommessa sulla debolezza delle nostre democrazie. E proprio qui si salda la scommessa di Hamas con quella di Putin. L’Occidente ha salvato l’Ucraina ma ha negato quella parte di sostegno militare (aviazione e mezzi corazzati) che nella seconda metà del 2022 e all’inizio del 2023 avrebbe consentito alle forze armate di Zelens’kyj di ottenere ben altri successi, con l’effetto che oggi sul terreno i russi faticano ad avanzare ma è escluso che possano arretrare.
Insomma Hamas (come Putin) ritiene che le pressioni internazionali renderanno l’offensiva israeliana certo capace di mettere in difficoltà l’organizzazione, ma non in grado di soffocarla definitivamente. Anzi: l’effetto desiderato da Hamas per la gente di Gaza è esattamente quello che sta crescendo a dismisura, cioè l’odio assoluto verso Israele.
Qualcuno starà anche pensando da quelle parti che è tutta colpa di Hamas? Certo che si, come lo pensano tanti russi per l’invasione del 2022. Ma sistemerà le cose l’assoluta assenza di spazi di dibattito a piagare la testa di tutti i non allineati, a Gaza come a Mosca.
La ricreazione (post caduta del muro) è finita, la storia presenta il conto.