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Gli Houthi visti dall’Indo Pacifico. Reazioni asiatiche al caos nel Mar Rosso

Le nazioni indo-pacifiche guardano con estrema attenzione alla crisi del Mar Rosso. Wadhwa (diplomatico indiano), Patalano (King’s College), Ghiselli (Fudan Uni./ChinaMed), spiegano a Formiche.net le posizioni di New Delhi, Tokyo e Seul, Pechino

Mentre gli Stati Uniti hanno lanciato una forza navale multinazionale per proteggere le navi mercantili nel Mar Rosso dalle milizie Houthi (che in queste ultime settimane hanno intensificato gli attacchi), l’India ha piazzato due cacciatorpediniere con missili guidati al largo delle coste di Aden. Missione che New Delhi intende come contributo alla sicurezza marittima nel Mar Arabico settentrionale. Anche Cina, Giappone, Corea del Sud, in qualche modo Australia, ossia gli altri grandi attori dell’Indo Pacifico, guardano con attenzione la situazione.

Occhi sul Mar Ross

“L’India è attenta alla situazione nel Mar Rosso. In questi giorni la marina indiana è intervenuta in soccorso navi in difficoltà sotto attacco da parte degli houti. La Marina indiana sta lavorando, e lo fa con altri partner per garantire la libertà di navigazione e la sicurezza del traffico marittimo nel Mar Rosso”, spiega l’ambasciatore Anil Wadhwa, già rappresentante diplomatico indiano in Italia. “Ha avuto un produttivo scambio di opinioni con il primo ministro Benjamin Netanyahu sul conflitto in corso tra Israele e Hamas, comprese le preoccupazioni condivise sulla sicurezza del traffico marittimo. Ha sottolineato la posizione coerente dell’India a favore di un rapido ripristino della pace e della stabilità nella regione con la continua assistenza umanitaria per le popolazioni colpite”, ha dichiarato ieri Narendra Modi.

Rafforzamento indipendente

Anche se il governo di New Delhi mantiene il riserbo sugli sviluppi, il cacciatorpediniere della Marina indiana INS Kochi è già impegnato nella protezione delle navi mercantili contro i pirati somali. L’India ha inoltre inviato un altro cacciatorpediniere lanciamissili, l’INS Kolkata. Lunedì gli Stati Uniti hanno lanciato l’operazione Prosperity Guardian per proteggere il traffico marittimo nel Mar Rosso: opererà sotto le Combine Maritime Forces, di cui anche l’India fa parte, ma New Delhi non ha aderito formalmente all’operazione specifica – non è l’unico grande alleato statunitense ad aver preso questa posizione.

L’equilibrio indiano

La mossa di non aderire all’iniziativa statunitense potrebbe essere legata alla volontà di mantenere equilibrate le relazioni con l’Iran, evitando tensioni e preservando la stabilità nella regione, spiega una fonte indiana. New Delhi ha rapporti storici con Teheran e qualcosa di simile potrebbe aver mosso le scelte di stare un passo indietro di Riad e Abu Dhabi (che da poco hanno ricomposto le relazioni con Teheran e che non vogliono sembrare troppo esposte pro-Israele). Gli Houthi, che ormai controllano mezzo Yemen e sono in vantaggio sulla guerra civile iniziata oltre otto anni fa, sono virtualmente diventati un attore statale con un arsenale di elicotteri, missili balistici e droni lanciamissili. Molte di queste armi sono state fornite (almeno a livello di componentistica e know how) dall’Iran (ma anche dalla Cina, vedremo). L’organizzazione yemenita ha ampi contatti con il mondo dei Pasdaran, pur essendo un’entità con una propria agenda e autonomia.

Responsabilità

Con la Cina che limita la libertà di navigazione nel Mar Cinese Meridionale da un lato dell’Indo Pacifico e le destabilizzazioni nella regione mediorientale, le vie di comunicazione marittime sono minacciate con gravi ripercussioni sul commercio globale. L’India è al centro di queste dinamiche. New Delhi sa che dalla situazione può subire solo danni, per esempio legati alla potenziale spinta inflativa che potrebbe crearsi davanti a un attacco massiccio contro una petroliera in grado di creare l’aumento del prezzo del petrolio. Ma anche legato all’aumento dei costi per le spedizioni delle merci. Contemporaneamente New Delhi sa di essere vista da molte parti di mondo come un riferimento ed essere presente nel tentativo di fare qualcosa affinché il caos innescato dagli Houthi non venga pagato da tutti, è un’operazione di immagine e capacità geopolitica.

Non solo India

New Delhi non è l’unica che dall’Asia segue con massima attenzione ciò che accade lungo quelle rotte. Australia, Giappone, Repubblica di Corea, Malesia, Nuova Zelanda, Pakistan, Filippine, Seychelles, Singapore, Thailandia, Sri Lanka, Turchia, sono altre nazioni indo-pacifiche coinvolte nelle operazioni di sicurezza marittima esistenti nel Mar Rosso/Golfo di Aden. In particolare, sono tra i 39 membri di cui si compongono le Combined Maritime Forces a guida statunitense.

Tokyo, Seul: necessità e politica

“I giapponesi hanno unità in zona e sono attivi, anche se non sono parte dell’Operation Prosperity Guardian formalmente: per esempio, la scorsa settimana sono intervenuti in supporto al cacciatorpediniere Mason quando c’è stata una richiesta di assistenza da parte di un mercantile colpito dagli Houthi”, spiega Alessio Patalano, professore di War & Strategy in East Asia at the Department of War Studies del King’s College di Londra. “I sudcoreani hanno avuto finora un profilo più defilato, ma contribuiscono regolarmente ad attività di anti-pirateria. Probabilmente al momento il loro ragionamento è volto a trovare un equilibrio tra opportunità collaborativa e necessità politica”, aggiunge. Patalano ricorda che comunque Seul e Tokyo fanno parte dei Paesi che hanno condiviso uno statement di denuncia e condanna contro le attività dei miliziani yemeniti.

E la Cina?

“Già qualche settimana fa c’erano notizie di aumenti sui costi dei trasporti via mare e del fatto che i produttori di auto cinesi ne potessero presto soffrire, viste le vendite crescenti in Europa”. Inizia così il ragionamento che fa Andrea Ghiselli, che insegna alla School of International Relations and Public Affairs della Fudan University e guida la ricerca di ChinaMed.

Per Ghiselli sono tre i fattori dietro alle decisioni di Pechino. “Primo, per ora il costo è stato solo economico. Per quanto ne sappiamo non ci sono cittadini cinesi fra le vittime degli attacchi. Anche nel 2008 la Cina tollerò l’aumento dei costi causato dai pirati nel Golfo di Aden e si mise in azione solo quando emersero foto e video di marinai cinesi alla prese con dei pirati. Seconda cosa: manca l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, cosa a cui la Cina tiene moltissimo, soprattutto nello sparring diplomatico con gli Stati Uniti. Sempre in questo contesto, non c’è da stupirsi che i cinesi non vogliano comunque essere visti come subordinati ad un’iniziativa americana, anche solo indirettamente attraverso il coordinamento invece che la partecipazione. Infine, la narrazione che sta emergendo nella stampa cinese suggerisci che la Cina veda la questione come un qualcosa che gli Usa vogliano usare per spostare l’attenzione da Gaza e anche le colpe per quello che succede, cosa che la Cina non vuole veder accadere. Dopotutto, aggiungo, la Cina ha segnato molti punti diplomatici nella regione e nel Sud Globale grazie alla sua posizione su Gaza, sicuramente vuole continuare a fare questo”.

L’analisi apre la newsletter Indo Pacific Salad, oggi dedicata a “Gli Houthi visti dall’Indo Pacifico”

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