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Il futuro (anche dell’Italia) è l’Africa. Parola dell’amb. Cangelosi

La politica estera italiana si è sviluppata su linee tradizionali: in Europa sulla normativa europea; nella Nato nel rispetto della linea atlantica. Ma l’Italia deve occuparsi in primis dei Balcani e dell’Africa. Conversazione con Rocco Cangelosi, già rappresentante permanente per l’Italia a Bruxelles e consigliere diplomatico del presidente Giorgio Napolitano, in occasione della Conferenza degli ambasciatori alla Farnesina

Il futuro è l’Africa, spiega a Formiche.net Rocco Cangelosi, già rappresentante permanente per l’Italia a Bruxelles e consigliere diplomatico del presidente Giorgio Napolitano. L’occasione rappresentata dalla Conferenza degli ambasciatori alla Farnesina è utile per fare il punto sulla politica estera di ieri e su quella di domani, nella consapevolezza che specialmente nella nuova guerra a Gaza sta latitando l’Ue.

In concomitanza con la 16ma Conferenza delle ambasciatrici e degli ambasciatori d’Italia, quale è il suo giudizio sulla politica estera italiana, soprattutto alla luce degli ultimi avvenimenti, ovvero la seconda guerra, dopo l’Ucraina, Gaza?

La politica estera italiana si è sviluppata sulle linee tradizionali: in Europa sulla normativa europea, in particolare per quanto riguarda le regole di bilancio; nella Nato nel rispetto della linea atlantica soprattutto per quanto riguarda i due conflitti che attualmente ci toccano e sono all’ordine del giorno, Gaza e Ucraina. Non ho notato dei cambiamenti fondamentali nella linea di politica estera italiana rispetto al Governo Draghi o anche agli altri Governi precedenti salvo per quanto riguarda i rapporti con Russia e Cina a seguito del conflitto con l’Ucraina.

Parliamo di Gaza, lo scorso 8 novembre è salpata dall’Italia la nave Vulcano della Marina militare con a bordo sale operatorie e ambulatori medicinali per far fronte alle questioni di emergenza: questo elemento della solidarietà come caratterizza l’impegno italiano sul piano internazionale?

Questo effettivamente è quanto l’Italia può riuscire a fare, perché per quanto riguarda gli altri aspetti come la soluzione del conflitto, l’apporto italiano è residuale, come lo è al momento attuale quello dell’Europa. Quindi non dico che sia irrilevante il ruolo dell’Italia per la soluzione del conflitto mediorientale, ma certo l’Italia potrebbe prendere delle iniziative proprie, così come ha fatto in passato e tenuto conto del prestigio che gode nell’area. Mi riferisco alle forze di interposizione in Libano che hanno svolto e stanno svolgendo un ruolo egregio. Non c’è stata una spinta autonoma dell’Europa: questo è l’elemento che manca nel contesto internazionale, dove un’eventuale soluzione della crisi mediorientale è affidata agli Stati Uniti e ai Paesi arabi.

In un settore assolutamente strategico come l’Indo Pacifico l’Italia è in partnership con Inghilterra e con Giappone sul caccia di quinta generazione, accanto ad una presenza costante. Un buon punto di partenza?

Per quanto riguarda la costruzione del caccia indubbiamente sì, ma per quanto riguarda la nostra partecipazione nell’Indo Pacifico non potrebbe essere che simbolica. Si tratta di un’area che ci interessa perché potrebbe coinvolgerci in un eventuale confronto o conflitto, ma le nostre priorità sono altrove. In primis il Mediterraneo, di cui dobbiamo occuparci insieme alle aree circostanti come i Balcani e l’Africa.

La costruzione di relazioni più forti con tutti i Paesi del costone balcanico è un buon viatico?

La questione dell’allargamento e la questione di integrare i Balcani nella Ue è un problema al quale non possiamo sottrarci. Dopo lo scorso Consiglio Ue che ha aperto la via negoziale all’Ucraina, è chiaro che si è messo in moto un meccanismo che non sappiamo come funzionerà né quale percorso seguirà, né quali saranno i suoi effetti sulla tenuta dell’Ue. Per l’Italia i Paesi dell’area sono strategicamente molto importanti. L’Europa non si sarebbe mossa per una riforma se non ci fosse stata una decisione sull’allargamento: ora occorrerà procedere anche con le riforme dal momento che l’Europa non sarà più quella che conosciamo. Un allargamento senza riforme darebbe vita a una comunità con alcune politiche comuni ma non ad una vera e propria integrazione.

Quale la sua opinione su settori di crisi che sono stati per ora disinnescati, come Garabagh e Serbia-Kosovo? Lì l’Europa c’è stata?

Tra Azerbaigian e Armenia il conflitto è stato congelato ma non disinnescato : è un conflitto latente purtroppo che dura da anni dove effettivamente l’Italia ha avuto anche nel passato un ruolo di mediazione importante. Per quanto riguarda serbi e kosovari ricordo che c’è il nostro contingente di interposizione che svolge in maniera adeguata e con regole di ingaggio appropriate il proprio compito. E lo ha fatto nel momento in cui per la questione delle targhe che si era aperta una crisi che poteva precipitare. Sappiamo che c’è una crisi latente anche all’interno della Bosnia dove il leader serbo pensa addirittura a un suo esercito individuale.


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