Come la diplomazia cinese, anche la Italy China Council Foundation, guidata da Boselli, sostiene che l’iniziativa europea non dovrebbe sostituire quella di Xi. Anzi, può esserne un complemento naturale, si legge nel rapporto annuale
Anche in Italia c’è chi sostiene che l’iniziativa Global Gateway, il piano infrastrutturale lanciato dalla Commissione europea nel 2021, e la Belt and Road Initiative, l’iniziativa del leader cinese Xi Jinping che quest’anno ha compiuto i suoi primi dieci anni, dovrebbero essere complementari nonostante la prima sia nata anche, ma non soltanto, all’interno di uno sforzo coordinato da Bruxelles con gli Stati Uniti per far fronte all’ascesa globale della Cina. Si tratta della Italy China Council Foundation che oggi ha pubblicato il suo quarto sondaggio annuale che ha coinvolto aziende italiane operanti in Cina e alcune aziende cinesi attive in Italia e che comprende anche uno studio sul primo decennale della Belt and Road Initiative.
Il documento è stato pubblicato a due giorni dal summit Ue-Cina che si terrà a Pechino giovedì e venerdì. Le aspettative sono molto basse. Tanto che Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, si fermerà soltanto un giorno nella capitale cinese per rientrare in Europa e provare a trovare una soluzione con il primo ministro ungherese Viktor Orbán che si oppone perfino alla discussione sui negoziati di adesione dell’Ucraina al prossimo Consiglio europeo. Il rientro, ha scritto Politico rivelando la novità nell’agenda di Michel, è “in parte” dovuto alla mancanza di una linea sicura Pechino che permetta al presidente del Consiglio europeo di parlare con i leader dell’Unione “senza che la Cina ascolti”.
Il rapporto analizza la posizione europea nei confronti della Belt and Road Initiative. Ne emerge “una serie di sentimenti diversi”, si legge. Da un lato, essa “offre prospettive significative per le imprese e i Paesi europei”; dall’altro, “suscita preoccupazioni per le questioni di sicurezza e la competitività del mercato”. Sin dal suo lancio, l’Unione europea e i suoi Stati membri hanno avanzato numerose proposte e iniziative per “controbilanciare l’impegno della Cina”, prosegue il documento. La svolta è avvenuta, come detto, nel 2021, dopo la pandemia Covid-19, che ha portato a una maggiore attenzione alle dipendenze strategiche, e grazie anche a un nuovo slancio nei rapporti transatlantici con l’insediamento negli Stati Uniti dell’amministrazione Biden, incline a un approccio multilaterale nel confronto con la Cina.
Tuttavia, sostiene la Italy China Council Foundation, l’iniziativa Global Gateway “non dovrebbe servire all’Europa per sostituire la Belt and Road Initiative, ma piuttosto” dovrebbe essere un “complemento naturale, dato l’ampio spazio per investimenti in collaborazione e provenienti da più fonti”. Per questo, si legge, l’Unione europea e la Cina “dovrebbero cercare di coordinare i vari progetti nazionali e sovranazionali, condividendo al contempo le pratiche migliori e le informazioni”.
Nei giorni scorsi avevamo raccontato gli sforzi di Pechino di trovare punti di contatto tra la Belt and Road Initiative, nota in Italia come Via della Seta, e il progetto europeo che dovrebbe essere rivale della stessa ma con standard più alti in termini di sostenibilità.
Basti pensare al recente evento “The Bri and Global Gateway: searching for complementarity in competing narratives” (cioè “Belt and Road Initiative e Global Gateway: alla ricerca di una complementarità tra narrazioni concorrenti”), sostenuto dalla missione cinese all’Unione europea, a cui hanno preso parte, tra gli altri, l’ambasciatore Fu Cong e Luc Bagur, direttore per la politica di sviluppo sostenibile e coordinamento presso la Direzione generale per i partenariati internazionali della Commissione europea, che si occupa anche di Global Gateway. O al caso della società Energias de Portugal SA, chiamata a fornire consulenze sull’attuazione della strategia Global Gateway e della sua implementazione. Nelle scorse settimane, il South China Morning Post aveva rivelato l’incarico affidato alla società portoghese nonostante il suo maggiore azionista, China Three Gorges, sia un’azienda di proprietà del governo cinese e sotto l’ala del Partito comunista cinese. Dopo l’articolo e le richieste di chiarimenti da parte di alcuni europarlamentari, la Commissione europea ha difeso la sua decisione.
Nella prefazione Mario Boselli, presidente della Italy China Council Foundation, auspica che l’Italia sia “la porta della Cina verso l’Europa” e la Cina “la porta dell’Italia verso l’Asia”. Secondo Boselli il “rapporto speciale” tra Italia e Cina “può essere un catalizzatore per affrontare le sfide globali, promuovendo pace e stabilità. Solo così potremo garantire un futuro sereno e prospero per tutti, nessuno escluso”, scrive ancora con espressioni vicine alla narrazione cinese.
Il rapporto sottolinea in particolare gli aspetti economici. Per esempio, è in grassetto l’informazione che tra i 18 Paesi dell’Unione europea che hanno firmato i protocolli d’intesa sulla Belt and Road Initiative, “l’Italia è stata la destinataria dei maggiori investimenti negli anni tra il 2014 e il 2019”, cioè l’anno della firma del memorandum (era marzo e c’era il governo gialloverde guidato da Giuseppe Conte). Tuttavia, prosegue il rapporto (ma non più in grassetto), “l’ultimo investimento riportato nel quadro della Belt and Road Initiative risale all’ottobre 2020 (580 milioni di dollari)”. Si tratta dell’acquisizione da parte di ChemChina di Valagro, multinazionale abruzzese leader nel biologico. La spiegazione (o giustificazione)? “Gli investimenti cinesi nell’Unione europea sono diminuiti in generale, soprattutto a causa dell’impatto della pandemia di Covid-19, e il 2020 è stato l’anno peggiore”.
Nel documento non vengono menzionati elementi più politici e internazionali. Come la recente stretta cinese che allarma giornalisti, ricercatori ma anche aziende. O come il mancato rinnovo del memorandum d’intesa che Italia e Cina dovrebbero annunciare entro il 23 dicembre prossimo (altrimenti scatta automaticamente il rinnovo quinquennale).
“Non potevamo rinunciare alla Cina ieri, non possiamo farlo oggi né domani”, aveva dichiarato un mese fa Boselli al Global Times, giornale in lingua inglese della propaganda del Partito comunista cinese. Il governo Meloni, aveva aggiunto, “ha gestito bene del ruolo del Paese nel progetto”, ovvero la scelta di non rinnovare il memorandum d’intesa sulla Via della Seta, per puntare sul partenariato strategico. Per questo, “quello che vedremo saranno solo scricchiolii, non rotture”, aveva spiegato ancora.