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Ucraina, Gaza, Mediterraneo. L’Italia nel mondo in subbuglio spiegata dall’amb. Checchia

“I servizi tedeschi avrebbero intercettato comunicazioni all’interno del circuito russo che potrebbero far pensare a un’aggressione della Russia a uno Stato Nato o alla Moldavia nell’arco dei prossimi tre-cinque anni. Teniamone conto”, ha detto l’ambasciatore a Formiche.net. “L’attenzione Usa all’Africa è da mescolare con il Piano Mattei, con la spinta della politica meloniana nel Mediterraneo”

Il ministro Tajani ha parlato del Piano Mattei non tanto come un piano nel senso tecnico del termine, quanto come un metodo di lavoro basato sulla condivisione dei progetti di sviluppo con i Paesi africani che noi vogliamo trattare da pari a pari e con i quali condividere gli avanzamenti sul piano della crescita socio-economica con grandi progetti nel settore infrastrutturale, della formazione e delle Pmi. Lo dice a Formiche.net Gabriele Checchia, già ambasciatore d’Italia presso l’Ocse, alla Nato, in Libano che commenta la conferenza in corso alla Farnesina come occasione per tracciare la rotta nella politica estera italiana del 2024.

Roma al nostro fianco in questo momento cruciale”, ha detto Anthony Blinken nel suo messaggio alla conferenza delle ambasciatrici e degli ambasciatori in corso alla Farnesina. In cosa consisterà anche nel 2024 l’impegno italiano, ad esempio su Ucraina e Gaza?

Io credo che l’impegno italiano su Ucraina e Gaza consisterà nel confermare la nostra decisa presa di posizione a sostegno dell’indipendenza ucraina nel primo caso e nell’esercizio, dunque, da parte di Kyiv del suo diritto all’autodifesa: ci troveremo ancora una volta fianco a fianco con gli Stati Uniti in ambito Atlantico ma anche bilaterale. Per quanto riguarda la crisi di Gaza direi nella prosecuzione della nostra opera a difesa di Israele, sottoposto all’orribile atto terroristico di Hamas lo scorso 7 ottobre. Al contempo, però, continueremo a chiedere con altri partner europei e con gli stessi Stati Uniti che nel difendersi Israele rispetti il diritto internazionale, con particolare riguardo alla necessità di ridurre le vittime civili tra i palestinesi di Gaza. Sono questi i due pilastri sui quali si espliciterà io credo la nostra azione, di concerto con i nostri alleati Nato, i partner europei e in primis la Casa Bianca. Poi vedremo quale sarà l’esito delle presidenziali statunitensi a fine 20024 ma la rotta resterà la stessa.

Due temi dirimenti anche per come andrà approcciato l’anno che sta per iniziare…

Devo dire che questi due argomenti, non a caso, sono stati ieri toccati con particolare risalto dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione del suo intervento all’apertura della Conferenza degli ambasciatori. Mi hanno colpito due passaggi, il primo è quello nel quale il nostro Capo dello Stato ribadisce che sarebbe un errore capitale derubricare l’aggressione russa all’Ucraina a una dimensione regionale, perché non è in gioco solo l’indipendenza dell’Ucraina, ma la stessa indipendenza di Paesi Nato che potrebbero essere a loro volta aggrediti dalla Russia una volta che questa dovesse, speriamo non avvenga mai digerire l’Ucraina, riportarla sotto la sua sfera di influenza. E l’altro passaggio importante, quando il Capo dello Stato insiste con forza per la soluzione dei due Stati come strumento anche per porre fine, egli ha detto, alle spirali di violenza di immani proporzioni innescate da Hamas. Quindi il presidente Mattarella non nasconde di chi sia la responsabilità delle tristissime immagini che ci giungono questi giorni da Gaza. La responsabilità prima è di Hamas. Israele deve però esercitare in maniera adeguata e proporzionale il proprio diritto di difesa: sono i due temi che mi sembra occupino la centralità dell’agenda anche in sede di Conferenza di ambasciatori e su questo vorrei aggiungere una piccola notazione.

Ovvero?

Ho letto stamane su un nostro quotidiano importante delle osservazioni dei ministro della Difesa tedesca Boris Pistorius e del capo del Copasir tedesco nelle quali con accenti convergenti viene data notizia del fatto che i servizi tedeschi avrebbero intercettato comunicazioni all’interno del circuito russo che potrebbero far pensare a un’aggressione della Russia a uno Stato Nato o alla Moldavia nell’arco dei prossimi tre-cinque anni. Sono indicazioni che devono essere prese molto sul serio perché si ritiene che, in caso di un cedimento ucraino, potrebbero poi aprirsi scenari ancora più inquietanti. La corrispondenza che ho letto cita l’Estonia. Questo avverrebbe con modalità tali che potrebbero mettere la Russia al riparo dei meccanismi dell’articolo cinque del Trattato atlantico. Se per esempio la Russia, come avvenne nel 2004 per le regioni autonome di Donetsk e di Lugansk, facesse intervenire i cosiddetti movimenti indipendentisti o miliziani estoni magari di etnia russa che rivendicassero un’autonomia maggiore rispetto al centro si potrebbero innescare le stesse dinamiche che hanno portato nel 2022 all’aggressione all’Ucraina con il pretesto della difesa delle minoranze etniche russe. Sono tutti scenari da monitorare con attenzione che occupano il cuore dell’agenda della politica estera italiana, europea ed atlantica e in primis quella del Presidente Biden.

A proposito di Africa, gli Stati Uniti hanno fatto un bilancio di “un anno di notevoli progressi”, sulla scia del Vertice dei leader Usa-Africa tenutosi nel dicembre 2022. Come si intreccerà con il piano Mattei?

È quanto ha detto lo stesso Blinken ieri, allorché ha rilevato che due terreni privilegiati di collaborazione tra Stati Uniti ed Italia potrebbero essere da un lato l’Indopacifico per i motivi che conosciamo e dall’altro il Nord Africa e l’area subsahariana. L’attenzione Usa all’Africa da mescolare con il Piano Mattei, con la spinta della politica meloniana nel Mediterraneo. Noi sappiamo che gli Stati Uniti stanno investendo risorse importanti in Africa dopo la conferenza ad altissimo livello tra appunto Biden e i 49 capi di Stato africani del dicembre 2022. Ciò coincide anche con l’agenda G7 dove lo sviluppo dell’Africa e il Piano Mattei saranno tasselli fondamentali di questa architettura complessiva. Noi sappiamo che il Piano Mattei da solo, lo riconosce anche il ministro Tajani e la stessa presidente Meloni, non potrà risolvere i problemi dell’Africa ma sarà il contributo a uno sforzo corale che dovrà investire anche gli Stati del Golfo, le monarchie petrolifere, i partner europei e le Nazioni Unite in uno sforzo complessivo. Il ministro Tajani saggiamente ieri ha parlato del Piano Mattei non tanto come un piano nel senso tecnico del termine, quanto come un metodo di lavoro basato sulla condivisione dei progetti di sviluppo con i Paesi africani che noi vogliamo trattare da pari a pari e con i quali condividere gli avanzamenti sul piano della crescita socio-economica con grandi progetti nel settore infrastrutturale, della formazione e delle Pmi.

Il ministro Tajani ha citato ieri il fatto che si andrà verso un aumento consistente delle borse di studio per i giovani africani. Un sostegno in più?

Potranno così lavorare, laurearsi in Italia per poi essere assunti da imprese italiane. Inoltre si sta dando una grande assistenza all’Africa nel settore della sicurezza agroalimentare. Tutto questo convergerà dunque in questo sforzo sinergico tra Italia e Stati Uniti in seno al G7, nella certezza che con la nostra presidenza altri Paesi vorranno associarsi a questo impegno complessivo a favore di un’Africa che dovrà diventare un esportatore di energia pulita attraverso il ricorso a nuove tecnologie e quindi un continente veramente aperto sul futuro: è quanto il Piano Mattei contempla. Attendiamo che venga illustrato più nel dettaglio il 28 e 29 gennaio, in occasione della Conferenza Italia-Africa: tutto questo mi pare si concili pienamente con le priorità di politica estera ribadite dalla presidenza Meloni. Un’Italia che ha una visione francamente incoraggiante della nostra posizione nel mondo, del nostro ruolo in seno alla Nato, del nostro ruolo in seno all’Unione europea.

Il nostro Paese è considerato serio, credibile, affidabile anche per gli Stati Uniti, ha sottolineato il ministro degli Esteri Tajani. Di chi il merito?

Direi che il merito è della storia dei nostri due Paesi, di Italia e Stati Uniti, da sempre amici e che in questi anni hanno rafforzato tale loro partenariato soprattutto sulla scia più di recente delle iniziative promosse dal Governo Draghi e rafforzate dal governo Meloni. E poi, devo dire, dall’impegno posto dalla Presidente Meloni, dal Ministro degli esteri Tajani e dai nostri titolari dei dicasteri competenti, da Crosetto a Urso, per rinsaldare l’asse Atlantico come spina dorsale della nostra sicurezza e della nostra proiezione internazionale. Quindi direi che è un merito condiviso per il cui consolidamento bisognerà però continuare a lavorare. Noi sappiamo che negli Stati Uniti non si esclude una possibile vittoria dei repubblicani alle elezioni del prossimo anno e dobbiamo fare attenzione al fatto che nel Partito repubblicano, ma non solo, è crescente la richiesta di una minore condivisione degli oneri in ambito Nato tra alleati europei e Stati Uniti, ma di un trasferimento addirittura degli oneri. Ciò porterebbe dunque ad un passaggio degli oneri dagli Stati Uniti all’Europa. Dobbiamo attrezzarci a un mondo nel quale da parte americana anche se dovesse confermarsi un’amministrazione democratica verrà chiesto all’Europa e all’Italia di fare di più sul terreno della difesa dei propri interessi e della difesa complessiva dell’Occidente nel proprio giardino di casa, per cui su questo dobbiamo essere vigili e consapevoli di quanto ci si attende da noi. Noi intendiamo farlo, oltre che con la partecipazione alle missioni di stabilizzazione anche attraverso iniziative economiche molto concrete come appunto il Piano Mattei.

L’Italia è disponibile a partecipare a iniziative dell’Onu che portino alla soluzione di due Stati. Ma in che modo?

È una materia estremamente complessa. Vedo che anche il Presidente Mattarella ieri ha rilanciato giustamente la soluzione dei due Stati come la unica possibile per il frammentato e drammatico quadro mediorientale. Ci sono però varie difficoltà per giungere a questa soluzione, che apprendo purtroppo da recenti sondaggi condotti sia in Israele che nelle aree diciamo a prevalenza di popolazione palestinesi, una soluzione che sta perdendo consensi sui due versanti, mentre fino a qualche tempo fa era ritenuta praticabile da una buona fetta dell’opinione pubblica sia palestinese che israeliana.

Quali sono i punti che rendono particolarmente complessa questa soluzione?

Da un lato il rilievo che, sia sul versante israeliano che sul versante palestinese, si stanno continuando ad acquisire formazioni di natura estremista dai coloni cosiddetti dalla destra israeliana e sono gran parte dei coloni che stanno erodendo territorio alla parte palestinese in Cisgiordania. È una guerra santa quella che conduce Hamas contro Israele che ripeto, poco ha a che vedere con la causa del popolo palestinese, ma che condiziona pesantemente la soluzione dei due Stati. Quindi andrà sicuramente riveduta la politica degli insediamenti se si dovesse arrivare ai due Stati, magari con compensazioni per i coloni che dovessero lasciare i territori attualmente occupati in Cisgiordania. Bisognerebbe poi procedere anche a una riqualificazione e rivitalizzazione dell’Autorità nazionale Palestinese, il cui controllo dovrebbe estendersi dalla Cisgiordania anche a una casa liberata dal flagello di Hamas. Questi sono due passaggi che mi sembrano fondamentali.

Poi c’è sempre il nodo aperto dei confini…

Lo status di Gerusalemme è un’altra questione molto delicata che dovrà essere nuovamente affrontata. A Oslo sembrava che si stesse andando verso una soluzione di queste complesse problematiche. Purtroppo il processo di Oslo non è mai decollato. Si dovrà tornare a una Oslo 2, rivista con gli aggiustamenti necessari. Il fatto che il primo ministro Netanyahu non sia favorevole alla soluzione dei due Stati e buona parte della coalizione del suo Governo, soprattutto l’ala più più estremista, non è favorevole e non aiuta ma non aiuta neanche il fatto che Gaza sia ancora sotto il controllo di una milizia terrorista come Hamas, mentre potrebbe svolgere un ruolo importante di facilitatore l’insieme degli Stati arabi moderati, quelli che nel quadro degli accordi di Abramo stavano riavvicinandosi a Israele. E speriamo che questi accordi di Abramo possano essere poi recuperati, magari con una normalizzazione, quando sarà possibile. I rapporti tra Israele e Arabia Saudita aprirebbero scenari interessanti anche per quanto riguarda i collegamenti infrastrutturali e logistici tra l’Oriente, a cominciare dall’India, il Medioriente e l’Europa. Il famoso corridoio India Medio Oriente Europa il corridoio economico che era stato lanciato su iniziativa statunitense con appoggio italiano al G20 di Nuova Delhi lo scorso luglio e che poi è stato bruscamente interrotto dall’aggressione di Hamas a Israele e dalla conseguente presa di distanza saudita da un possibile recupero di rapporti normali con con Israele.

Tutto questo è solo congelato?

Sì, ma non è detto che debba essere archiviato questo piano di reinserimento di Israele nel quadro di una ricerca di crescita condivisa in Medioriente della quale Israele non può non essere parte attiva, in linea con quanto prospettavano i troppo criticati a mio avviso accordi di Abramo che invece aprivano prospettive di crescita condivisa molto interessanti delle quali potrebbe beneficiare anche la popolazione palestinese. Chiudo ricordando una frase detta ieri da Sergio Mattarella: laddove la proposta politica perde il terreno, il terrorismo avanza.


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