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La patria europea non minaccia la nazione. Il futuro dell’Ue secondo Parsi

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“Anche senza modificare i trattati si possono definire margini in cui sia possibile prendere decisioni in maniera diversa senza farsi bloccare dall’Ungheria di turno”, spiega il docente della Cattolica ed esperto analista. “La ricchezza dell’Europa sta nel suo pluralismo, però la difesa di quest’ultimo passa attraverso l’unione con una maggiore coesione interna”

Una madrepatria europea non è in contraddizione con l’appartenenza nazionale, spiega a Formiche.net il professor Vittorio Emanuele Parsi, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, di cui è appena uscito “Madre patria. Un’idea per una nazione di orfani” (Bompiani). Il tema è doppio: da un lato riflettere sulle prospettive federaliste dell’Unione per evitare che le nuove sfide possano provocare nell’Ue un declino inarrestabile e, dall’altro, immaginare un manifesto valoriale come una manifestazione di volontà politica dopo le prossime europee.

Crisi, migrazioni e guerre hanno evidenziato la debolezza dell’Ue in politica estera e difesa?

Hanno messo in evidenza quali sono i limiti europei e di tutto quello che si può fare non solo a trattati vigenti ma anche senza una più radicale presa di posizione verso una direzione federale. Un attimo dopo bisognerà vedere come riuscire a fare un’Europa federale con chi ci sta, ma non va dimenticato che gli Stati saranno in grado di bloccare qualsiasi dinamica se quelli più forti non si accorderanno fra loro per andare oltre la lettera dei trattati.

Ciò dovrebbe spingere alla creazione di un soggetto politico più coeso?

Sì, ma a una condizione: che tutti gli attori principali, e parlo di Germania, Francia, Italia, Spagna, Polonia si rendano conto che avere una capacità di maggiore coesione è un interesse collettivo e non può essere contrattato di volta in volta sul singolo dossier. Nella realtà poi tutti i Paesi si bloccano a vicenda, perché ognuno ha paura che in un dossier di specifico interessa si abbia una maggioranza diversa che possa imporre decisioni. Il problema è che a volte le decisioni che verranno prese saranno più vicine agli interessi del singolo attore e altre volte saranno più lontane. Ma di sicuro se non ci sarà una coesione e una capacità di decidere insieme, saremo sempre più lontani dall’obiettivo di sopravvivere politicamente.

In che modo e con che tempi sarebbe possibile un passo del genere?

Occorre innanzitutto una manifestazione di volontà politica da parte delle leadership e probabilmente il momento giusto sarebbe dopo le elezioni europee. Ripeto, anche senza modificare i trattati si possono definire margini in cui sia possibile prendere decisioni in maniera diversa senza farsi bloccare dall’Ungheria di turno, insomma.

In caso di ulteriore rinvio quali potenziali danni ci sarebbero?

Potrebbe iniziare un declino inarrestabile. Abbiamo due tipi di minacce, quella esterna rappresentata dai big player anti Ue, come la Russia, e quella interna rappresentata dai sovranisti che potrebbero stare quieti fino a quando capiranno che la prospettiva è quella di una maggiore unione, ma se vedessero che invece l’Unione europea fosse in difficoltà alzerebbero la testa e cambierebbero le loro agende.

L’Ue deve anche gestire un potenziale allargamento alle regioni balcaniche. Senza le dovute riforme l’allargamento rischia di essere un peso molto grave da portare?

Si pone lo stesso problema che era già stato evidenziato rispetto alla grande ondata di allargamento dei primi anni 2000, chiaramente aggravata dal fatto che saremo ancora di più. In seguito si dovranno fare anche su questo aspetto le dovute differenze: mi riferisco al processo di adesione dell’Ucraina che va su una strada diversa, perché si tratta di un paese in una condizione particolare che ha fatto molto per l’Unione europea, semplicemente difendendo il suo confine orientale.

Quest’oggi è scomparso l’ex ministro dell’Economia tedesco Schauble: la sua austerità ha fatto più bene o più male all’Europa?

All’inizio è stato un passaggio necessario per evitare che i conti andassero fuori controllo, ma dopo è stata una posizione sclerotizzata, che non ha mai tenuto conto dell’interesse europeo: è stata l’incarnazione del merkelismo. Ovvero un europeismo tedesco tale solo quando erano in gioco gli interessi della Germania.

Politico ha raccontato il 2023 di Ursula von der Leyen e il suo rapporto con Giorgia Meloni.

Il problema vero del rapporto con Meloni è il fattore S, cioè Salvini: potrebbe essere bloccata da logiche interne relative ai partiti di destra italiani. Von der Leyen potrebbe essere la prossima presidente della Commissione, ma si parla anche di Draghi che sarebbe una bella cosa. Il problema non è tanto il rapporto personale tra von der Leyen e Meloni, ma il salto di qualità che deve compiere il premier: deve smetterla di essere europeista quando conviene e anti europeista quando non le conviene.

Madre Patria Ue, la riflessione contenuta nel suo libro come si potrebbe allargare all’Europa?

La ricchezza dell’Europa sta nel suo pluralismo, però la difesa del suo pluralismo passa attraverso l’unione con una maggiore coesione interna. Questo è il punto. Non c’è nessuna contraddizione tra nazioni e unione, perché le parti nazionali sono difese in quanto esiste la patria comune europea, altrimenti diventerebbero delle patrie fuori tempo massimo.

@FDepalo

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