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Serve un piano italiano per l’Indo Pacifico. Parla Craxi

L’area del Mar Rosso va preservata dalle azioni di coloro i quali ambiscono ad aprire nuovi fronti per coltivare i propri propositi destabilizzanti. A gennaio passaggio decisivo per il lancio del Piano Mattei alla conferenza Italia-Africa. I rapporti con Pechino post Bri? È un tema che riguarda tutte le democrazie occidentali. Conversazione con la presidente della Commissione Esteri e Difesa al Senato, Stefania Craxi

La crisi in Mar Rosso ci riguarda da vicino. Proprio ieri, dall’area Sud, sono stati lanciati due missili Houthi che tuttavia non avrebbero colpito alcune navi. Ma l’area è in subbuglio e l’Italia, in questo contesto, “è fondamentale che partecipi alle politiche di messa in sicurezza dell’area”. A dirlo è Stefania Craxi, senatrice di Forza Italia e presidente della commissione Esteri e Difesa di Palazzo Madama, che in questa conversazione con  Formiche.net allarga lo sguardo sulle principali sfide che, in politica estera, attendono l’esecutivo da qui al prossimo futuro.

Quale ruolo può avere l’Italia nella crisi del Mar Rosso?

Gli attacchi alle navi in transito nel Mar Rosso rappresentano una seria minaccia che pesa sui traffici e sul commercio internazionale, e di conseguenza sugli interessi stessi di un Paese come il nostro così profondamente legato al trasporto via mare. Per questo è fondamentale la partecipazione italiana alle politiche di messa in sicurezza dell’area, che va preservata dalle azioni di coloro i quali ambiscono ad aprire nuovi fronti per coltivare i propri propositi destabilizzanti.

A gennaio si terrà la conferenza Italia-Africa. Che snodo sarà per il lancio del Piano Mattei?

Sarà certamente un passaggio decisivo, utile anche per convincere l’Europa della necessità di rivedere il suo approccio – finora declinato quasi esclusivamente in termini emergenziali e securitari – orientandolo verso una visione che valorizzi le potenzialità di un continente in crescita, dove non mancano le contraddizioni ma nemmeno le opportunità. L’idea di un Piano Mattei muove proprio dalla consapevolezza del fatto che l’Africa rappresenta un’area strategica, che rafforzare i canali della cooperazione e favorire uno sviluppo equo e condiviso di quei Paesi è la soluzione a parte delle problematiche che impattano sulla vita comunitaria e non soltanto sugli Stati rivieraschi del Vecchio continente. Al contempo, la definizione di una cornice di intervento strutturato è figlia della presa d’atto che la parcellizzazione delle azioni e, in parte, degli strumenti a nostra disposizione, talvolta sottofinanziati, non ha prodotto gli esiti che ci si attendeva.

L’uscita dalla Belt and Road Initiative, la cosiddetta Via della Seta, rappresenta un punto di svolta nei rapporti tra Roma e Pechino. Come coltivarli senza i vincoli del memorandum?

Il tema dei rapporti con Pechino riguarda tutte le democrazie dell’Occidente, quindi non solo l’Italia. Ho sempre ritenuto la firma di quel memorandum una scelta improvvida, siamo stati di fatto l’unico Paese del G7 ad avere aderito a un progetto dalle chiare valenze geostrategiche, non solo economico-commerciali. E a dirla tutta, anche guardando ai dati dell’interscambio commerciale, l’Italia inserita nella cornice della Via della Seta non ha certo riscontrato vasti benefici. La Cina è un grande attore globale, si muove da protagonista su più scenari, ha senza dubbio una forte capacità di influenza per la risoluzione di alcune problematiche che segnano questo nostro tempo inquieto, e penso in primo luogo al suo ascendente sul Cremlino. Quindi va necessariamente coltivato un rapporto di collaborazione proficua con Pechino, nel pieno rispetto, da parte delle autorità cinesi, dei requisiti che sovrintendono il funzionamento del sistema di governance globale. Diverso, invece, è considerarsi “altro” rispetto alle alleanze strategiche e ai valori che definiscono il nostro corredo identitario.

Che tipo di alternative potrebbe trovare l’Italia nella proiezione dell’Indo-Pacifico?

Va detto con franchezza che l’Italia è in ritardo rispetto ad altri partner europei nella definizione di un approccio ad un quadrante di cui misuriamo la grande crescita in termini di importanza geopolitica e che include anche parte del Mediterraneo allargato. A dare il senso dell’ineludibilità di articolare un piano italiano all’Indo-Pacifico sono i dati stessi relativi alla demografia e al tasso di sviluppo: in questa macro-regione si concentrano circa i due terzi della popolazione mondiale e i due terzi del Pil globale, parliamo di economie per lo più complementari alla nostra, che rappresentano, insieme all’Unione europea, circa il 70 percento del commercio globale. Siamo già coinvolti in diverse partnership strategiche con i Paesi dell’area, in settori chiave come quello della tecnologia, della sicurezza e dell’aerospazio. Si tratta, però, di fornire coerenza strategica al nostro impegno, muovendoci in un’ottica di sistema.

Sul fronte Est, è partito l’iter per l’integrazione dell’Ucraina nell’Unione europea. Che tipo di segnale rappresenta, anche per l’Italia?

Ѐ il segnale che siamo al fianco di Kyiv nella sua lotta per la libertà contro le pretese di chi voleva riportare indietro le lancette della Storia. Ovviamente, si tratta dell’avvio di un processo nel corso del quale andrà valutato con attenzione il rispetto dei requisiti fondamentali di partecipazione alla vita comunitaria. L’Europa pronta ad allargarsi, ad accogliere nuovi popoli e nuovi Paesi, testimonia la forza di attrazione di un progetto che nonostante le mille difficoltà continua ad essere vivo. Naturalmente, occorrerà poi fare tesoro degli errori del passato, ragionando in parallelo su nuove architetture di governance.



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