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Un premier per il re di Prussia? L’opinione di Sisci

Le riforme istituzionali vanno fatte pensando al Paese, non al proprio partito. Non Meloni ma Conte o De Luca potrebbero raccogliere i frutti dei cambiamenti istituzionali proposti oggi

Ci dovrebbe essere una regola aurea per la politica: grandi riforme politiche si fanno pensando al Paese, non pensandole su misura per le esigenze politiche di una forza particolare. Ciò perché tali riforme si fanno per stabilizzare una situazione molto volatile.

Se allora il gruppo X, vincente al momento e promotore della riforma, pensa a una riforma che massimizzi il suo potere rischia di lavorare, e spesso lavora, a favore di un suo avversario. Infatti, poiché la situazione è volatile, nei mesi o anche settimane che trascorrono dall’approvazione della riforma al voto secondo la riforma, le opinioni possono cambiare e il vincitore diventa un altro.

Al di là del merito delle innovazioni sul premierato, o sulle autonomie regionali, la realtà può essere che l’attuale premier Giorgia Meloni stia lavorando per il famoso Re di Prussia, per altri. È questo che vuole?

Non è una ipotesi teorica, ma molto concreta. Nei sondaggi di opinione il segretario del Pd Elly Schlein rimane al palo mentre sta tornando a brillare la stella del leader di M5s, Giuseppe Conte. Non è impossibile che a giugno prossimo, alle elezioni europee, gli M5S sorpassino il Pd, Conte diventi capo della coalizione, e vinca il voto che governerà con il nuovo premierato.

Un’altra ipotesi, non necessariamente sostitutiva, ma complementare, è che la rimonta a sinistra sia guidata dal governatore della Campania Vincenzo De Luca. Articolato, politicamente rotondo, affidabile per le istituzioni, De Luca governa bene la sua difficilissima regione e potrebbe ricevere consensi a destra e a sinistra.

Oggi è in rotta di collisione con Schlein, quindi egli potrebbe essere tentato di fondare una sua formazione che, in alleanza o meno con Conte, potrebbe vincere tutto il sud, e quindi conquistare l’Italia. In alternativa la nuova legge sull’autonomia gli consentirebbe di creare un blocco a sud di regioni “autonome” che parlano al mondo come sta facendo ora la Catalogna o spacchi il paese come fecero gli Sloveni e i Croati con la Jugoslavia 30 anni fa.

Infatti gli “autonomisti” della Lega a nord rappresentano forze economiche integrate con l’Europa e la Germania e per loro l’autonomia è solo una questione di minori tasse. Gli autonomisti del sud invece possono rappresentare forze ribelli che, sentendosi isolate e defraudate, cerchino vie completamente diverse, e magari provino a trovare interlocuzioni con la Turchia o l’Egitto, Israele più che con la Unione Europea.

Non sono ipotesi peregrine. La volatilità infatti non è solo italiana ma è internazionale. Ci sono due guerre in corso, in Ucraina e a Gaza. Alla fine di questi conflitti sarà ridisegnato tutto l’est e il centro Europa e quindi anche la Ue, e poi anche tutto il Medio Oriente.

Intanto brucia sotto la cenere il conflitto globale maggiore forse da secoli, quello intorno alla Cina e gli Stati uniti. Qui si gioca il futuro dei due Paesi e del mondo, e qui stanno sorgendo nuove potenze globali, l’India o l’Indonesia, giganti che insieme fanno già 1,7 miliardi di abitanti.

In questa situazione l’Italia è una foglia secca al vento, se comincia a muoversi troppo anche di suo si polverizza.

Il Paese sente lo scollamento tra le sue esigenze vere e profonde e l’offerta politica e quindi la maggioranza vota con i piedi, assentandosi dalle urne.

I problemi dell’Italia sono verissimi, ma la soluzione non va trovata in alchimie istituzionali ma in un ripensamento della politica.


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