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Il Meridione non è un deserto, è tempo di cambiare narrazione. Scrive il prof. Pirro

È giunto il momento anche per la Svimez di cambiare (radicalmente) registro e dedicarsi (finalmente) ad uno studio accurato e ravvicinato delle tante realtà moderne del Sud per scoprirne dimensioni, dinamiche, impegni di imprenditori e sindacati che ogni giorno lavorano per far crescere un Meridione che non è affatto un deserto industriale

Ieri sono state presentate le risultanze dell’ultimo rapporto della Svimez sul Mezzogiorno. Ora, a parte una considerazione ormai largamente diffusa fra i tanti osservatori dell’economia meridionale circa la stanca ritualità di un evento che vede l’Associazione da molti anni a questa parte riproporre sempre e soltanto l’andamento del divario Nord-Sud – senza poi riuscire a cogliere nelle regioni meridionali i tanti punti di forza produttivi esistenti, come documentano invece le rigorose analisi della Srm del Gruppo Intesa Sanpaolo, e del Cesdim-Centro Studi e documentazione sull’industria nel Mezzogiorno dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, curate dallo scrivente – credo che al vertice della Svimez avrebbero dovuto essere molto cauti nel formulare determinate stime.

Cominciamo da quelle del Pil in Italia che secondo l’Associazione dovrebbe attestarsi alla fine dell’anno ad un +0,7% – lo stesso dato dell’Istat – quando in realtà lo stesso Istat lo ha già rivisto, segnalando per il 3° trimestre dell’anno una crescita dello 0,1%, quando in realtà solo un mese prima aveva parlato di una crescita zero nello stesso periodo.

Si afferma poi che tale crescita dovrebbe essere dello +0,8% nel Nord e solo del +0,4% nel Sud. Ma al riguardo si segnala, a puro titolo esemplificativo, che la Banca d’Italia anche se solo per la Puglia ha segnalato per il primo semestre dell’anno una crescita dell’1,2% che, in realtà, sarebbe stata ben superiore a quella nazionale. Certo, il dato ha riguardato solo la Puglia, ma esso dovrebbe indurre cautela esaminando anche quello delle altre regioni stimati dalla Banca d’Italia.

In proposito si invita a valutare con grande attenzione quanto sta accadendo in edilizia: è vero che si sta indebolendo l’effetto del superbonus, ma nel Sud sono in corso grandi lavori pubblici: basti pensare alla costruzione del nuovo tracciato ferroviario della Bari-Napoli, e ai lavori sulla statale 106 che unisce Taranto a Reggio Calabria. Inoltre a Bari da anni sono in corso grandi interventi di edilizia abitativa privata di pregio e di opere pubbliche come il completamento nel porto dell’ansa di Marisabella e i lavori ferroviari a sud del capoluogo.  Anche l’edilizia ospedaliera in Puglia sta registrando forti interventi come i nuovi nosocomi di Taranto e quello fra Fasano e Monopoli nel Sud Est barese: per cui nelle stime sul trend del comparto sarebbe prudente non misurare il suo andamento solo sul rallentamento del superbonus.

Per quel che concerne l’industria manifatturiera si segnala da parte della Svimez una dinamica positiva degli investimenti – il che è un dato fortemente positivo – ma si aggiunge che essi sarebbero in forte decelerazione sull’anno precedente, più accentuata nel Nord e meno nel Sud. Bisognerebbe tuttavia a nostro avviso comprenderne meglio il perché: solo a causa di un rallentamento della congiuntura interna e internazionale – rallentamento, si badi bene, non recessione – o può aver inciso anche il completamento di un ciclo di investimenti in diversi settori industriali nei quali non si può pensare che quegli investimenti debbano essere continui e non avere mai pause? Ma l’analisi macro della Svimez non ci aiuta a comprendere quello che è effettivamente accaduto o sta accadendo.

Peraltro è anche vero che molte aziende – lo scrivente ne può dare testimonianza diretta per le attività di ricerca sul campo svolte dal Cesdim – hanno atteso le modifiche al Pnrr e al RepowerEu da parte della Commissione Ue (peraltro ancora da ratificare nel Consiglio Europeo dei Capi d Stato e di Governo) per partecipare (com’è fortemente auspicabile) ai loro bandi: pertanto il rallentamento degli investimenti potrebbe (il condizionale è d’obbligo) anche essere interpretato come una pausa in vista di un loro nuovo ciclo espansivo.

Ma al di là di questi aspetti specifici, quello che manca da anni nei rapporti della Svimez è l’analisi ‘granulare’ – ci si passi l’espressione – dell’industria nelle 8 regioni del Sud. Si citano di tanto in tanto – da parte del direttore Luca Bianchi, ma stranamente non del presidente Adriano Giannola – singoli comparti di eccellenza presenti nel Meridione, ma un’analisi “molecolare” dell’industria localizzata in tutte le regioni del Mezzogiorno vi evidenzia ormai da lungo tempo l’esistenza non solo di tantissimi di cluster di Pmi, ma anche di siti di tanti big player settentrionali ed esteri, pubblici e privati, cui si affiancano da anni stabilimenti di big player meridionali (Gruppo Adler, Casillo, Italbioil, Laminazione sottile, De Cecco, La Doria, DR-Automobiles, Natuzzi, Sideralba, Seda Group, Leo Shoes, Gruppo Ferro), solo per citarne alcuni.

Insomma l’industria nel Sud per le sue dimensioni, le sue articolazioni settoriali, e la sua forza competitiva sfugge ad ogni lettura interpretativa che sia solo riduttiva e incapace così di focalizzarne la forza reale.

Ma ci siano consentite per chiudere questo intervento due domande. La prima: ma l’annuale rapporto Svimez è frutto della elaborazione solo del direttore Luca Bianchi, del Presidente Giannola e di un gruppo ristrettissimo di loro collaboratori, o invece, prima di essere presentato è discusso (ed emendato se del caso) in consiglio di amministrazione ove siedono fra gli altri anche i rappresentanti delle Regioni che aderiscono all’associazione?

La seconda domanda è la seguente: la continua, insistente, irriducibile visione alimentata dalla Svimez dell’economia del Sud segnata sempre e soltanto dal divario con il Nord – che pure esiste e che nessuno vuole negare, ma che tuttavia finisce per oscurare le tante dinamiche positive interne al Mezzogiorno – siamo propri sicuri che non finisca col fare il gioco dei rappresentanti a Bruxelles dei Paesi frugali che non vorrebbero più sentir parlare di aiuti all’Italia e alle sue aree svantaggiate, raffigurate dalla Svimez eternamente in ritardo di sviluppo? Se dopo 73 anni di intervento dello Stato nel Sud, e dopo 34 anni di quello europeo, il Mezzogiorno continua ad essere segnato solo dal divario con il Nord, ha senso continuare a pomparvi risorse per tentare di colmarne un divario che sembra insuperabile, almeno nell’interpretazione della Svimez?

Ne sono pienamente consapevoli all’associazione? O forse pensano, come tanti meridionali del resto, che i fondi comunitari per la coesione saranno eterni? Non è giunto allora il momento anche per la Svimez di cambiare (radicalmente) registro e dedicarsi (finalmente) ad uno studio accurato e ravvicinato delle tante realtà moderne del Sud per scoprirne dimensioni, dinamiche, impegni di imprenditori e Sindacati che ogni giorno lavorano per far crescere un Meridione che non è affatto un deserto industriale e che non si accinge a diventarlo?

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