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Il pasticciaccio del Mes e le responsabilità di Giuseppe Conte. La versione di Polillo

La storia è molto meno lineare di come l’ex ministro degli Esteri l’ha raccontata. E allora è bene iniziare dalle premesse, che risalgono al 30 novembre 2020… La ricostruzione di Gianfranco Polillo

Non è Giorgia Meloni a sbagliare, ma Luigi Di Maio, nel ricostruire le vicende che portarono alla firma delle modifiche al Trattato del Mes, da parte dell’ambasciatore Maurizio Massari. La storia è molto meno lineare di come l’ex ministro degli Esteri l’ha raccontata. E allora è bene iniziare dalle premesse, che risalgono al 30 novembre 2020, quando l’Ecofin propose che la firma del “revised Treaty” avvenisse “in January 2021”. Come risulta certificato dal comunicato stampa ufficiale. Non una data specifica, ma solo il rinvio di lì a qualche mese. Che fu quasi interamente speso dal presidente di quel consesso, Paschal Donohoe – ex ministro delle finanze irlandese – per informare, solo il 4 dicembre del 2020, il Presidente del consiglio europeo, Charles Michel, dei progressi nel frattempo realizzati. Per poi dichiararsi pronto a procedere alla “signature of Treaty in january”.

Meno di una settimana dopo si sarebbe svolto il Consiglio europeo. Nel frattempo, il 9 dicembre, Giuseppe Conte si era recato alla Camera per ottenere la necessaria investitura, in vista di quella scadenza, il giorno dopo. Di fronte ad un’ostilità crescente non solo dell’opposizione, ma dei suoi stessi “attivisti”, il suo discorso è ancora più fumoso, delle tradizionali filippiche a reti unificate. “Ritengo aveva detto – che debbano essere riconsiderate in modo radicale – l’ho già anticipato – struttura e funzioni del Mes, affinché sia trasformato in uno strumento completamente diverso”. Aveva quindi promesso che l’Italia si darebbe fatta promotrice di una proposta innovatrice”, destinata a “superare la sua natura di accordo intergovernativo, legato a un paradigma che ritengo ormai obsoleto rispetto alle sfide che abbiamo davanti.” Voli pindarici.

La sua maggioranza lo aveva comunque sostenuto, pur ponendo condizioni pesanti nella risoluzione poi approvata. Una in particolare (primo firmatario Delrio): “a sostenere la profonda modifica del patto di stabilità e crescita prima della sua reintroduzione, la realizzazione dell’Edis, il sistema europeo di assicurazione dei depositi bancari, e anche un processo che superi il carattere intergovernativo dello stesso Mes, che sono priorità per il nostro Paese al fine di costruire una nuova stagione dell’integrazione europea. Lo stato di avanzamento dei lavori su questi temi in agenda sarà verificato in vista della ratifica parlamentare della riforma del trattato del Mes”. Sembra di essere all’oggi, mentre da allora sono passati quasi tre anni. Ma la maggioranza di ieri, divenuta opposizione, perde inevitabilmente la memoria.

Nella riunione del Vertice euro in formato inclusivo, dell’11 dicembre, invece, le conclusioni andarono in una diversa direzione. “Prendiamo atto – si legge nella dichiarazione finale – della lettera del presidente dell’Eurogruppo del 4 dicembre 2020 e accogliamo con favore l’accordo raggiunto in sede di Eurogruppo in formato inclusivo sulla riforma del meccanismo europeo di stabilità, come richiesto dal Vertice euro del giugno 2018, nonché la tempestiva introduzione del sostegno al Fondo di risoluzione unico.” Mentre tutto il resto era passato in cavalleria. Salvo una successiva dichiarazione sibillina “invitiamo l’Eurogruppo, in formato inclusivo, a elaborare su base consensuale un piano di lavoro graduale e con scadenze definite su tutti gli elementi in sospeso necessari per completare l’Unione bancaria.”

Ottimo: se tutto non fosse stato deciso il giorno prima, non si sa da chi e in una direzione del tutto contraria. Il 10 dicembre, infatti, cioè il giorno prima, una comunicazione interna al Ministero degli esteri – quella sventolata da Di Maio, durante la trasmissione – informava che la firma sull’intesa raggiunta in seno all’Eurogruppo del 30 novembre sul Mes “sarà opposta dai Rappresentanti permanenti presso l’Unione europea” il “prossimo 27 gennaio”. Non si capisce, pertanto, cosa l’Euro summit dovesse ancora deliberare, visto che tutto era stato già deciso. Fino ad impegnare la data della celebrazione.

L’autorizzazione alla firma si trasformerà pertanto in un fatto puramente formale.  Sarà, quindi, comunicata 11 giorni dopo, esattamente il 21 gennaio – anch’essa posta agli atti da Di Maio – delegando l’ambasciatore Maurizio Massari. Sennonché il 13 gennaio, quindi otto giorni prima la fatidica data, con l’annuncio delle dimissioni delle due ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti e del sottosegretario Ivan Scalfarotto, tutti esponenti di Italia Viva (il partito di Matteo Renzi) il governo Conte II non esisteva più.

Certo dovranno passare ancora 12 giorni, prima di giungere alla formale presentazione delle dimissioni. Che saranno rese il 25 gennaio. Due settimane vissute pericolosamente all’insegna del più forsennato trasformismo. Con una caccia disperata all’ultimo voto e volenterosi disposti a tutto pur di conservare il proprio scranno, in attesa di ricevere qualche piccola o grande ricompensa. Ma alla fine il destino dell’alleanza giallo-rossa sarà segnata. Rimarrà solo la firma su quelle modifiche al Trattato del Mes, che non avrà né padre né madre politica, viste le riserve da tutti avanzate. Forse Giorgia Meloni avrà esagerato nell’”evocare il favore delle tenebre” a compimento del misfatto. Certo, invece, che vi fu un furto con destrezza nei confronti della fiducia degli italiani. Forse compiuto qualche ora prima. Ma questo non cambia la gravità del fatto.

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