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Ratificare il Mes avrebbe evitato l’isolamento italiano in Ue. Parla Tabacci

La decisione di non ratificare il Mes da parte dell’Italia ci condannerà all’isolamento in Europa. Conte e Meloni sono sullo stesso piano in questo senso. Passa la linea Salvini, che sarà molto dannosa per il Paese. Non possiamo avere la postura dell’Ungheria in Ue. Conversazione con Bruno Tabacci, presidente di Centro Democratico

La mancata ratifica del Mes è “un suicidio per il nostro Paese”. Per Bruno Tabacci, presidente di Centro democratico e politico di lungo corso la posizione assunta dal parlamento è “inconcepibile” e ci condannerà “al totale isolamento in Europa”.

Tabacci, non usa mezzi termini: la mancata ratifica del Meccanismo europeo di stabilità è un fallimento di questo governo.

La storia del Mes parte da lontano. Ma già la commedia era mediocre, quando era interpretata da Alberto Bagnani e Claudio Borghi, i due parlamentari leghisti da sempre favorevoli all’uscita dell’Italia dall’Euro. Ora, questa decisione, si trasforma in qualcosa di profondamente dannoso per il Paese.

Ci sono, tuttavia, delle responsabilità trasversali che hanno portato a questa decisione. E che travalicano i confini del centrodestra. 

Certo, infatti metto sullo stesso piano – in questa grande finzione tutta italiana – il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni e l’ex premier (ora leader pentastellato), Giuseppe Conte. L’astuzia parlamentare non è illimitata. Loro dovrebbero saperlo. Non solo. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, esce spaesato e sfiduciato. Ha fatto, al contrario, un bellissimo intervento in Parlamento Enzo Amendola, esponente del Pd.

Ora teme davvero che l’Italia sarà isolata sullo scacchiere europeo?

Di fatto lo è già, e Meloni che polemizza a fronte delle fotografie dell’ex premier Mario Draghi ritratto con il presidente francese Emmanuel Macron sono davvero di basso cabotaggio. In Italia con questa scelta prevale la linea di Matteo Salvini, quello del Papeete. Il problema è che quell’episodio gravò politicamente su di lui. Aspetto sul quale non indugio. Ma adesso in ballo ci sono l’interesse e il destino del nostro Paese.

Lei ritiene, insomma, che con questa scelta non sia stato fatto l’interesse nazionale (benché l’esecutivo si sia orientato in questa direzione proprio in funzione di tutelare le ragioni italiane)?

Vorrei francamente capire che cosa intende il premier Meloni quando parla di interesse italiano. Se la prospettiva è quella di tornare a un’Europa delle Nazioni direi che i rischi per l’Italia sono ancora maggiori. È semplicemente impensabile immaginare una regressione rispetto all’integrazione e alla forza europea. Stare saldamente in Ue significa fare gli interessi degli italiani, non applicare la logica delle “contrattazioni a pacchetto”, care a Viktor Orban.

Si riferisce alla trattativa sul Patto di Stabilità?

Certo. Solo in Italia si è creduto a questa finzione che le due cose – Mes e Patto – fossero in qualche modo legate. Quindi la mancata ratifica del Meccanismo da parte del Parlamento appare come un fallo di reazione. Punito ancor più gravemente dall’arbitro rispetto al fallo “diretto”. Il Paese di Altiero Spinelli, tra i fondatori dell’Ue, non può avere una postura alla stregua dell’Ungheria a guida sovranista.

A proposito di sovranisti, lei ritiene che questa mancata ratifica darà nuova linfa all’asse euroscettico in Europa, in vista delle prossime elezioni?

Le forze euroscettiche non hanno speranza alcuna. Ma non può sfuggire a chi governa che le sfide che il nostro Paese ha davanti possono essere affrontate unicamente da una prospettiva europea. Basti pensare al dato demografico: nel 1972 la popolazione europea rappresentava un sesto di quella mondiale. Oggi ne rappresentiamo un sedicesimo. Mentre Meloni evoca la nazione e Salvini raduna l’ultra destra, l’Ue si appresta ad affrontare la transizione energetica, digitale, ambientale. Non sono sfide alla portata di un singolo Paese.

A questo punto quale dovrebbe essere la rotta da seguire?

La ratifica del Mes avrebbe potuto costituire la base per lavorare sugli altri nodi principali da affrontare a livello comunitario: la politica fiscale, quella sul bilancio e soprattutto la difesa comune europea. Che è ormai una condizione minimale dalla quale partire e sulla quale occorre investire. Insomma, serve una svolta federalista se si vuole davvero fare l’interesse nazionale. Sennò questo governo continuerà a rappresentare non il popolo italiano, ma una somma di corporativismi.



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