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Niente troika né altri bonus, ma più Nato e nuova Ue. Il 2023 di Giorgia Meloni

La mossa politica dei conservatori italiani è stata quella di togliere argomenti ai detrattori, interni ed esterni: niente spese pazze, bilancio accorto, rafforzamento degli impegni atlantisti e pungolo ai vertici europei per riformare una macchina a cui servono più cilindri. Il modello Tunisia e Albania è il futuro degli accordi

“Fortunatamente per l’Europa, le fantasie fasciste della Meloni si sono rivelate non più serie del suo desiderio giovanile di sfidare Sauron”, ha scritto qualche giorno fa Politico, dando i voti ai leader europei, tra cui quello italiano.

Ma al di là del frasario tipico di chi racconta la politica tricolore facendo “pick and choose” dei fondi di un paio di quotidiani mainstream, la testata tanto in voga nei corridoi brusellesi dimentica che se a Roma non ci fosse stato un governo pragmatico, concreto e responsabile capace di evitare sconquassi economici e geopolitici, oggi il 2023 sotto il Colosseo si sarebbe chiuso con un bilancio molto pesante per una Nazione, come l’Italia, già gravata da un maxi debito pubblico e dalla voragine chiamata “Superbonus”.

Le sfide che attendono il 2024 del governo sono già da tempo dinanzi agli occhi di Palazzo Chigi e non per questo i passi compiuti fino ad oggi sono indenni da critiche o da migliorìe che, un premier che prova ogni giorno a imporsi, è consapevole di dover gestire. Ma ciò che va sottolineato in questo frangente in cui si chiude un anno impegnativo, mentre se ne apre uno probabilmente ancora più difficile, quanto a obiettivi, contingenze e fattori di crisi, è che proprio la postura scelta dal governo Meloni ha impedito scenari catastrofici e riportato l’Italia al centro della scena.

Due giorni fa c’è stata la scomparsa dell’ex ministro delle finanze di Berlino, Wolfgang Schaeuble, colui che incarnava il senso più elevato di quell’ultra austerità europea spesso utilizzata come clava nei confronti di alcune Nazioni europee. Italia compresa. La morte del politico della Cdu è anche l’occasione per analizzare l’ultimo decennio europeo, e proiettarlo sull’attuale status italiano all’interno dell’eurocontesto. La domanda è semplice: quell’austerità quanto freno ha rappresentato e quanta poca solidarietà europea ha determinato?

La tesi del “feldminister”, che si scontrò con l’allora governatore della Bce Draghi nei giorni più cruenti del quasi default della Grecia, era che i “deboli” dovessero uscire dall’eurozona, senza possibilità di trattativa e senza eurobond (e la decisione di dare vita al recovery fund ha certificato il fallimento della dottrina Schaeuble).

La tesi dell’Ue di oggi, post pandemia e ancora nel vivo della guerra in Ucraina, è che come osservato da Giorgia Meloni nel suo discorso alle Camere per la fiducia non c’è un’Unione europea “con soci di serie A e soci di serie B o, peggio, come una società per azioni e diretta da un consiglio d’amministrazione, con il solo compito di tenere i conti in ordine”. Non avrebbe senso un soggetto così e non avrebbe nemmeno gli strumenti per essere parte dialogante (e non soccombente) con gli altri super player globali.

Il futuro non è frenare o sabotare l’integrazione europea, ma contribuire a indirizzarla verso una maggiore efficacia nella risposta alle crisi e alle minacce esterne che le singole Nazioni non sono in grado di affrontare da sole. Come è nel caso del governo dei flussi migratori. Questo è stato il senso del cambio impresso da Roma in Consiglio europeo sul cambio di paradigma nell’approccio al fenomeno (che deve mettere al primo punto la difesa dei confini esterni della Ue e la lotta alla tratta di esseri umani) e degli accordi di sistema promossi dal governo italiano con la Tunisia (alla presenza di von der Leyen e Rutte) e con l’Albania. E che in molti vedono come modelli da percorrere anche con altri Stati extra-Ue, a partire dall’Egitto. Il tutto, nell’ambito di una visione di cooperazione e sviluppa che Roma riassume nel Piano Mattei, per fare del Belpaese il ponte tra l’Africa e il resto d’Europa su energia, sviluppo, sicurezza alimentare.

È il metodo comune che rappresenta la maggiore novità dell’anno in dirittura d’arrivo. È la consapevolezza che la prossima governance Ue post elezioni del 2024 sarà decisiva per le sorti stesse dell’Unione.

Il rapporto intenso che si è creato tra la presidente della Commissione europea e la premier italiana è basato sulla comune visione di un’integrazione più efficace nell’affrontare le grandi sfide, nel rispetto di quel motto fondativo che recita: “Uniti nella diversità, perché è questa la grande peculiarità europea, Nazioni con storie millenarie, capaci di unirsi portando ciascuna la propria identità come valore aggiunto”, come osservato da Giorgia Meloni.

La mossa politica dei conservatori italiani, dunque, è stata quella di spuntare le armi ai detrattori, interni ed esterni, portando avanti scelte politiche di visione: niente spese pazze e bilancio accorto, con due manovre finanziarie che hanno chiuso il capitolo degli sprechi grillini; autorevolezza e rispetto della parola data nelle dinamiche internazionali (raddrizzando dove necessario la rotta delle alleanze, interrompendo quelle strade, come la Via della Seta, che non hanno portato denari nelle casse dello Stato, ma solo ambiguità deleteria); pungolo ai vertici europei per riformare una macchina a cui servono più cilindri.

Azioni, queste, che troveranno una conferma progettuale nella presidenza italiana del G7, che coincide idealmente e temporalmente con le elezioni europee.

@FDepalo



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