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Nucleare, perché all’Europa serve l’Italia. Il punto di Claudia Gasparrini (Inyg/Ain)

La leadership latente delle aziende italiane è emersa con forza alla Giornata annuale dell’Associazione italiana nucleare. La filiera dell’Italia compete all’estero ed è pronta a contribuire alla transizione. Dalla politica arrivano finalmente i fondi – 135 milioni per la ricerca – e uno sguardo verso i reattori piccoli, modulari e avanzati del futuro

Alla Cop28 di Dubai c’è chi scommette già sul nucleare come attore di rilievo per la transizione. Circa venti Paesi hanno promesso di triplicare la generazione di energia dall’atomo, un parallelo all’impegno equivalente di fare lo stesso con le rinnovabili. Non c’era l’Italia perché “non possiamo triplicare ciò che non abbiamo”, ha detto martedì il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, che però ha aperto alla partecipazione di Roma come osservatore al primo vertice mondiale sull’energia nucleare, altro impegno preso dal Belgio alla Cop e in programma a marzo 2024.

Sono le parole del ministro alla Giornata annuale dell’Associazione Italiana Nucleare a catturare i perché del rinnovato interesse italiano per il nucleare. “Ci sono ragioni ambientali in primo luogo – il nucleare non produce CO2 – ma anche economiche e sociali per sostenere l’opportunità di valutare in Italia un ritorno al nucleare civile”, nella forma di un impatto da 45 miliardi, secondo le sue stime, con l’utilizzo di nucleare di ultima generazione. Serve dunque “proseguire nel nostro impegno, per attrezzarci tecnologicamente e attrezzare il sistema produttivo italiano nel breve periodo, e guardare in prospettiva al nucleare come una possibile importante fonte di energia green per l’Italia”.

Quello che è emerso con forza dalla giornata di martedì è che nonostante l’infrastruttura mancante, gli anni di disimpegno della politica e la mancanza di sostegno statale, l’industria italiana non solo è pronta, ma riconosciuta a livello internazionale. Inoltre esiste una generazione di professionisti e studenti desiderosa di poter lavorare attivamente nel settore. Il ritorno dell’atomo in Italia offrirebbe una nuova spinta per lo sviluppo delle competenze tecniche e scientifiche del Paese e una vera soluzione per la continua “fuga dei cervelli” verso l’estero.

Queste le conclusioni di Claudia Gasparrini, Chair Italian Nuclear Young Generation (Ain) e scienziato all’Imperial College London. “Forse si sta arrivando, lentamente e con cautela, a una inversione di rotta”, racconta a Formiche.net: le aziende, i centri di ricerca, le università guardano con interesse alle mosse del governo, il quale, intanto che la Piattaforma nazionale per il nucleare sostenibile lavora per presentare un piano nel 2024, ha messo sul piatto (finora vuoto) 135 milioni di euro per la ricerca.

Per ora, spiega Gasparrini, l’impegno del governo è cauto. “L’industria è molto pronta e presente, ma chiaramente c’è bisogno di visione a largo spettro, dalla formazione ai finanziamenti a livello nazionale” – ciò che il presidente di Ain Stefano Monti definiva su queste colonne infrastrutture sia materiali che immateriali. Nel mentre, però, la filiera industriale è più all’avanguardia di quanto non si possa sospettare: non solo le aziende italiane partecipano a metà dei progetti di ricerca europei, ma come ha puntualizzato Marco Ricotti, professore di ingegneria nucleare al Politecnico di Milano, già oggi sarebbero pronte a costruire otto Smr reactor pressure vessels (i recipienti a pressione dei piccoli reattori modulari che contengono il nocciolo, o “cuore” del reattore) all’anno.

Proprio su questa tipologia di reattori si orienta la scelta del governo, ha puntualizzato Pichetto Fratin all’evento Ain. Roma non ha interesse per le “vecchie” centrali ma ragiona sugli Smr, più piccoli e meno costosi (Enea e Ansaldo Nucleare sono membri fondatori della nuova alleanza europea in materia) per garantire al Paese più sicurezza energetica mediante elettricità pulita e programmabile. E se è vero che questi reattori saranno disponibili attorno al 2030, è anche vero che molte delle loro componenti sono mutuabili dai “cugini” di grossa taglia, spiega Gasparrini. “Comunque non presenterebbero svantaggi nell’implementazione; anzi, sono la tecnologia sicura e efficiente che a oggi abbiamo disponibile”.

Il lavoro a Roma va in parallelo a quello delle altre capitali europee, la maggioranza delle quali ha in progetto di far partire un programma nucleare o espandere la capacità esistente per far fronte alla sfida della transizione ecologica. “I progetti nucleari in Europa stanno partendo ora e bisogna organizzare la supply chain europea al più presto, per essere competitivi sul piano internazionale”, ha detto il presidente Monti, evidenziando che la Francia – leader nel nucleare e l’Europa intera “hanno bisogno dell’Italia, [la quale] è pronta e attiva anche attraverso collaborazioni a livello europeo”. Questo punto è stato reiterato da Bernard Salha, presidente della Sustainable Nuclear Energy Technology Platform, che ha posto l’accento sulla competenza dell’industria nucleare italiana e della sua importanza per l’industria europea.

Come altrove in Europa, anche in Italia le prospettive sono favorite da un miglioramento dell’opinione pubblica, specie tra i più giovani, sul nucleare: atomo e rinnovabili sono un “binomio perfetto”, ha detto Paolo Arrigoni, presidente del Gse, ricordando che “fotovoltaico ed eolico – che sono da sostenere e incentivare – hanno bassi costi di produzione ma alti costi di non produzione, perché non sono programmabili, necessitano di reti di distribuzione e trasmissione adeguate e di sistemi di accumulo che devono essere sviluppati”. Da sole non bastano a mantenere la sicurezza del sistema energetico: o si continua a garantire un baseload con le centrali a gas, oppure serve il nucleare, una consapevolezza che sta prendendo piede.

Ci sono progressi in parallelo anche sul versante dei rifiuti radioattivi. “Le scorie non sono un problema, sono un manufatto tecnologico molto avanzato e relativamente semplice da stoccare”, ha sottolineato Gian Luca Artizzu, ad di Sogin, ricordando che il tema “si infrange non solo sull’iter autorizzativo e sulle norme di sicurezza – che in Italia sono 30 volte più severe rispetto agli altri Paesi europei –, ma sull’opinione pubblica. Il nucleare non è semplice quando riceve un trattamento mediatico come quello che è avvenuto finora ma, se lo si studia, si vede che non ha questa pericolosità”, ha aggiunto, spiegando che se anche il programma nucleare non si fosse mai arrestato ad oggi non avrebbe prodotto abbastanza scorie da coprire un campo di pallavolo.

Anche altre realtà del tessuto industriale guardano agli sviluppi con interesse, ha aggiunto Gasparrini: realtà energivore come Assoceramica, Assocarta, Federbeton (cementi e calcestruzzi) e Federacciai ribadiscono da anni la loro necessità di energia elettrica e termica a prezzi accessibili. Sempre più elementi per cui “occorre concentrarsi, in maniera più pragmatica, sulle azioni concrete da mettere a terra nel prossimo periodo”, perché l’Italia è “già in rincorsa” e “se non ci muoviamo subito rischiamo di rimanere definitivamente indietro”, ha concluso Monti.


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