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Perché all’Ue serve un nuovo approccio sull’immigrazione. I consigli di Ecfr

Un policy brief dell’Ecfr analizza la questione migratoria dal Mediterraneo centrale, valutando criticità e rimarcando la necessità di un nuovo approccio. Spunti per il Piano Mattei, che mira a maggior integrazione con l’Africa, anche in ottica di gestione migratoria

Mentre la questione migratoria è ancora tra i temi del Consiglio europeo in corso in questi due giorni, un nuovo policy brief dell’European Council on Foreign Relations, curato da Lorena Stella Martini e Tarek Megerisi, prende in esame il caso di studio della rotta del Mediterraneo centrale per analizzare le politiche europee di esternalizzazione della questione.

“Per decenni, i Paesi europei hanno inquadrato la migrazione come un rischio per la sicurezza e hanno raddoppiato più e più volte l’esternalizzazione delle frontiere in risposta. E per decenni, essa ha portato a un numero crescente di arrivi, estorsione da parte dei partner nordafricani dell’Europa, complicità nelle violazioni dei diritti umani e costi su altri interessi strategici. Vale la pena ripetere: è tempo di provare un approccio diverso”, spiegano i due analisti.

L’analisi si concentra principalmente sulla migrazione verso l’Italia, affrontando uno dei temi a cui l’opinione pubblica dedica più attenzione, arrivando per altro in un momento delicato per il governo di Roma, chiamato a gestire la problematica all’interno dell’Ue, lanciare il proprio piano per l’Africa e alle prese con alcune decisioni da gestire.

Se è vero che a causa del cattivo tempo si sta osservando una riduzione degli sbarchi, è questo il momento per la pianificazione futura — perché con gli hotspot ancora infuocati nel Sahel e la situazione esplosiva a Gaza nuove ondate potrebbero essere in arrivo dopo l’inverno. In questo quadro, è arrivato il blocco albanese al piano di accordo firmato dai premier Giorgia Meloni e Edi Rama. Un’intesa elogiata dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, come un esempio di “pensiero innovativo” tra Ue e nazioni terze, mentre la Corte Costituzionale albanese la blocca, impedendo al Parlamento di Tirana di discuterla e ratificarla.

Quella italo-albanese, tuttavia, non è una delle policy analizzate dal brief dell’Ecfr che concentrandosi nello specifico su Libia e Tunisia delinea le scelte politiche europee che hanno portato a un restringimento dello spazio per le politiche migratorie, mettendo in luce i limiti dell’esternalizzazione attraverso una valutazione delle dinamiche che spingono l’attuale ondata migratoria nel Mediterraneo centrale.

Rotta problematica

La migrazione nel Mediterraneo rappresenta un fattore di crisi per l’Europa da decenni. La rotta che taglia centralmente il bacino, e che conduce i migranti dalla Libia e dalla Tunisia all’Italia e a Malta, è diventata la più attiva. Questo anche perché precedenti scelte di esternalizzare il problema — come l’affidamento, profumatamente pagato, della rotta balcanica alla gestione turca — hanno prodotto risultati positivi nello specifico, sebbene abbiano aperto a complessità nella gestione dei rapporti Ankara-Ue.

Quella al centro del Mediterraneo è anche la tratta più pericolosa per i migranti che raggiungono le coste europee, per distanze e condizioni dei mari. E le misure di soccorso contro gli incidenti non hanno sempre funzionato — come hanno dimostrato le varie tragedie registrate nel corso degli anni.

Gli esperti dell’Ecfr valutano come la politica migratoria europea inquadri la migrazione dal punto di vista della minaccia per la sicurezza e si concentri sull’esternalizzazione dei confini europei verso gli Stati del Mediterraneo meridionale, soprattutto dopo la crisi migratoria del 2015, quando alcune scelte forzate furono necessarie per intervenire in fase di emergenza.

Era un momento critico quello, il fenomeno aveva rapidamente assunto dimensioni che rischiavano di finire fuori controllo; sulle coste libiche fioriva la capitale califfale di Sirte e gli attentati baghdadisti martoriavano l’Europa; le istanze anti-immigrazione prendevano spinta anche sotto una narrazione divisiva resa esasperata da campagne di infowar ostili all’Ue (come quelle russe).

Intervenire era necessario per la stabilità dell’ordine democratico nell’Unione europea e nei Paesi membri. Ma a distanza di anni, occorre — spiegano Martini e Megerisi — intervenire con maggiore consapevolezza di articolazione.

Cambio di approccio

“Questo approccio non è privo di conseguenze sulle relazioni dell’UEee degli Stati membri con il loro vicinato meridionale. Inoltre, rischia di ostacolare il perseguimento degli interessi strategici nella regione e progressivamente sminuisce la reputazione dell’UE come potenza basata sui valori”, spiegano gli esperti.

E ancora: “L’esternalizzazione delle frontiere in realtà non è riuscita a prevenire una nuova ondata di migrazione irregolare sulla rotta del Mediterraneo centrale dal 2020. Al contrario, le politiche europee di esternalizzazione hanno probabilmente contribuito a questa nuova crisi”.

È sulla base di certe consapevolezze oggettive che, stando alle informazioni preliminari fornite dal governo italiano, poggiano le considerazioni strategiche che compongono progetti complessi come il Piano Mattei, un programma di sviluppo condiviso con i Paesi africani (soprattutto con quelli dell’Africa centrale e settentrionale) che dovrebbe affrontare anche il tema migratorio. Con un approccio ampio, “olistico” come si usa dire, intervenendo con senso profondo e non appaltando la gestione del problema — almeno negli intenti.

“Gli europei non dovrebbero lasciare il controllo dei loro confini ai signori della guerra e agli autocrati in Libia e Tunisia. Dovrebbero invece concentrarsi maggiormente su misure che leghino il legittimo imperativo a breve termine di apparire in controllo della migrazione con iniziative a più lungo termine che riducano la necessità di migrare”, consiglia l’analisi dell’Ecfr.

In definitiva, l’indicazione fornita all’Ue è di lavorare per realizzare le conclusioni della Conferenza di Roma. “Ciò consentirebbe di massimizzare il reciproco beneficio economico della migrazione e di minare i driver della migrazione di massa”. Per tale ragione, i Paesi europei “dovrebbero lavorare attraverso veicoli multilaterali come l’UE e le banche di sviluppo per sostenere i paesi d’origine verso lo sviluppo sostenibile. Ciò pagherebbe anche il dividendo geopolitico della creazione di legami più stretti tra l’Europa e questi Stati (africani): una vera risorsa in un’epoca di maggiore multipolarità e concorrenza tra le potenze”.

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