Skip to main content

Nuovo approccio per Tokyo? Cosa c’è dietro ai Patriot agli Usa

La vendita a Washington di missili prodotti domesticamente (su licenza) rappresenta per Tokyo una svolta importante nella sua politica estera. All’interno di un più ampio adattamento iniziato già da qualche tempo

Lo sforzo promosso dell’amministrazione statunitense guidata da Joe Biden per spingere i propri alleati a rifornire l’Ucraina prosegue senza sosta. Mentre il Congresso americano continua a dibattere se allocare o meno ulteriori fondi a sostegno del Paese in guerra con Mosca, la Casa Bianca conta sui partner sparsi attraverso tutto il mondo per sopperire alla carenza di aiuti militari. Tra questi partner, quelli asiatici sembrano giocare un ruolo sempre più importante. Con un ruolo speciale giocato da Corea del Sud e Giappone, i protagonisti del Summit di Camp David organizzato da Biden nell’agosto di quest’anno: mentre la prima ha messo a disposizione dell’Ucraina (anche se in forma indiretta) un numero di proiettili d’artiglieria maggiore di quello fornito dai Paesi Europei nel loro insieme, il secondo sta lentamente aggiustando la sua postura internazionale verso posizioni meno neutraliste.

In queste stesse ore, il governo di Tokyo sta finalizzando la decisione di inviare agli Stati Uniti i missili terra-aria Patriot (e in particolare i modelli Pac-2 e Pac-3) prodotti in territorio giapponese sotto licenza dell’azienda americana Raytheon. Gli arsenali di Washington stanno infatti fronteggiando una forte carenza di questi sistemi, in parte forniti alle forze armate di Kyiv e in parte dispiegati in Medio Oriente, ma anche nella regione Indo-Pacifica. L’arrivo di preziose scorte potrebbe facilitare un eventuale nuovo invio di materiale in Ucraina, cosa che al momento sembra essere impossibile non solo per questioni politiche, ma anche per questioni strategiche.

Questo tipo di esportazione militare è al momento proibita in Giappone, secondo i termini previsti dalla nuova versione dei “Tre Principi per il Trasferimento di Equipaggiamento e Tecnologia per la Difesa”, adottata nel 2014 su impulso dell’ex-premier Shinzo Abe. Ma i vertici politici giapponesi hanno già espresso la volontà politica di revisionare questi principi, revisione che era già stata preannunciata nella nuova edizione della National Security Strategy rilasciata lo scorso anno. I precetti attuali consentono al Giappone di esportare solo componenti prodotti su licenza, ma le revisioni su cui il governo sta attualmente lavorando consentiranno agli appaltatori giapponesi di esportare prodotti finiti per la difesa nella nazione in cui ha avuto origine la licenza di fabbricazione.

La riforma della politica di esportazione di materiale bellico è solo l’ultima espressione del cambio di marcia promosso dal governo giapponese nell’ultimo anno, il quale include l’aumento del budget destinato alla spesa per la Difesa, la manifestazione dell’ interesse nell’acquisto di sistemi missilistici Tomahawk di produzione statunitense (anticipato addirittura di un anno), il nulla osta allo stanziamento di nuove unità dei marine statunitensi e di sistemi missilistici anti-nave nell’isola di Okinawa, e l’adesione al progetto Gcap portato avanti assieme a Italia e Regno Unito.

“Il Giappone sta davvero facendo dei cambiamenti profondi… per dimostrare il suo impegno incrollabile verso l’ordine internazionale e l’ambiente di sicurezza internazionale. Lo sta facendo in sintonia con gli Stati Uniti, che sono il partner più stretto della sua alleanza. Quello che il governo Kishida è riuscito a fare è davvero una rottura con il passato” è il commento rilasciato in condizioni di anonimità al Washington Post da un funzionario della Casa Bianca.

Già nel giugno di quest’anno gli Stati Uniti avevano chiesto al Giappone di acquistare munizioni da 155mm al fine di riempire i loro depositi munizioni, svuotati per rifornire al meglio le forze armate di Kyiv impegnate nella controffensiva d’estate. Tuttavia, in quel contesto il Paese del Sol Levante aveva declinato la richiesta del partner americano, considerando l’impatto che una simile azione avrebbe potuto avere sull’opinione pubblica: la natura prettamente offensiva di questo genere di materiale si scontrava con il pacifismo radicato da decenni nella cultura giapponese. Al contrario, l’utilizzo esclusivamente difensivo dei sistemi Patriot ha reso più semplice per Tokyo acconsentire alla richiesta di Washington. Anche perché, come ha ricordato il Primo Ministro Fumio Kishida già nel gennaio di quest’anno, e poi in molteplici occasioni successive, “l’Ucraina di oggi potrebbe essere l’Asia Orientale di domani”.

 



×

Iscriviti alla newsletter