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Addio (quasi) a Maastricht. Ecco il nuovo Patto di stabilità

Sul filo di lana, nell’Ecofin virtuale passa lo schema franco-tedesco, che però fa sua la flessibilità chiesta dall’Italia per tenere fuori dal deficit gli interessi sul debito. Previsto un aggiustamento strutturale dello 0,4% annuo, nell’arco di quattro anni

Un Patto un po’ tedesco ma anche italiano. In un Ecofin completamente virtuale, imposto dai tempi decisamente stretti, i ministri dell’Economia e delle Finanze riuniti in video-conferenza sono giunti a un accordo politico che getta le basi delle nuove regole fiscali e manda, parzialmente, in soffitta 30 anni di Maastricht (qui l’intervista all’ex titolare del Mef, Giovanni Tria). Non era facile convincere Giancarlo Giorgetti ad accettare lo schema messo a punto, a cena, dai colleghi di Francia e Germania, Bruno Le Maire e Christian Lindner.

Eppure, alla fine, la quadra è stata trovata e Roma ha avuto il suo piccolo bottino, sul terreno degli interessi sul debito e degli investimenti strategici un poco fuori dall’orbita deficit. Il risultato è quindi un cocktail i cui ingredienti possono essere più o meno questi. Due terzi di rigore in puro stile teutonico, un quarto di flessibilità, questa sì chiesta e ottenuta dall’Italia e una spruzzata di Europa, sotto forma di residui della vecchia proposta della Commissione europea, datata aprile 2022. La presidenza spagnola dell’Ecofin ha annunciato in serata che i ministri hanno raggiunto un accordo sulla riforma della supervisione di bilancio, che “assicura stabilità e crescita con regole equilibrate, realistiche e adatte alle sfide attuali e future”.

Ebbene, rispetto all’intesa di massima siglata tra i ministri dell’Economia e delle Finanze, Bruno Le Maire, Christian Lindner e Giancarlo Giorgetti all’ultimo Ecofin nella notte tra il 7 e l’8 dicembre, l’accordo che riforma l’assetto delle regole fiscali, presenta due modifiche che sembrano a un primo sguardo irrigidire ancor di più le regole rispetto alla precedente versione, anche se nel complesso la riforma appare più vantaggiosa rispetto alle regole del vecchio Patto. Tanto per cominciare, resta sulla carta la clausola riguardante la gestione dei deficit sovrani, che imporrà di portare il livello del disavanzo all’1,5% del Pil per i Paesi che superano il 90%.

Per arrivarci, sarà richiesto un aggiustamento strutturale annuo, dell’ordine dello 0,4% per quattro anni o dello 0,25% in sette. Attenzione, tale livellamento dei deficit dovrà essere portato a termine al netto degli interessi sul debito, il che vuol dire che il costo che l’Italia sostiene per rifinanziare il suo debito (nel 2024 Roma pagherà quasi 90 miliardi di interessi), verrà tenuto fuori dal disavanzo. Non è finita. Cambiano, infatti, anche i margini di scostamento che saranno consentiti nel percorso di riduzione della spesa, di cui sarà consentito soltanto uno sforamento dello 0,3%. Superata questa soglia, la Commissione redigerà un rapporto, il che rappresenta il primo passo verso l’apertura di una procedura.

La vittoria italiana è però tutta sul fronte del debito. Il ministro Giorgetti, che nel corso della riunione ha parlato di “spirito di compromesso”, ha più volte chiesto, arrivando a ventilare il veto, la massima flessibilità possibile. Le nuove regole, infatti, impongono un aggiustamento annuale dello 0,5% del debito, ma la Commissione potrà applicare un certo margine di flessibilità per tenere conto dell’aumento del costo degli interessi sul debito dovuto all’impennata dei tassi. In sostanza, l’aumento della spesa per gli interessi sul debito, dovuta a eventuali aumenti dei tassi d’interesse o al nuovo debito contratto sui mercati per finanziare gli investimenti e le riforme, sarà preso in considerazione dalla Commissione e dovrebbe permettere di diminuire di uno o due decimi di punto (in termini di Pil) la correzione annuale richiesta.

Nel complesso, il nuovo Patto di stabilità che si profila appare molto più rigoroso e tedesco, meno cucito su misura per ogni Paese e anche molto meno semplificato, di quello proposto dalla Commissione, con l’aggiunta delle nuove clausole di salvaguardia su debito e deficit e dei nuovi parametri di correzione minima e deviazione massima nei percorsi di aggiustamento, per i quali tuttavia resta l’elemento centrale della proposta dell’esecutivo comunitario, ovvero l’indicatore basato sulla sostenibilità del debito e sul controllo della spesa pubblica.

Per l’Italia, comunque, c’è un indubbio vantaggio rispetto alle regole dell’attuale Patto di stabilità, che prevede in particolare la regola, mai applicata, della riduzione annuale di 1/20 dell’eccedenza del debito/Pil rispetto alla soglia del 60% (ovvero, con il debito al 140%, una diminuzione del 4% all’anno), e un obiettivo di medio termine che in pratica consisterebbe in un azzeramento del deficit/Pil. Ora, invece, il nuovo obiettivo di medio termine per il deficit viene fissato all’1,5%, e il debito dovrà ridursi solo dell’1% all’anno.

Ora i lavori tecnici proseguiranno per completare il testo giuridico conformemente all’accordo provvisorio. Una volta finalizzato, il testo sarà presentato al comitato dei rappresentanti permanenti degli stati membri (Coreper) per l’approvazione. L’accordo rivisto dovrà essere adottato formalmente dal Parlamento e dal Consiglio prima di poter essere pubblicato nella Gazzetta ufficiale ed entrare in vigore nel 2024, con effetto dalla pianificazione di bilancio 2025.

Una prima reazione all’accordo viene dalla ministra delle Finanze dei Paesi Bassi, Sigrid Kaag. “Sono felice che, dopo una lunga discussione e difficili negoziati, ora abbiamo raggiunto un buon accordo sulle regole di bilancio dell’Ue. È importante che queste regole forniscano una base solida per i bilanci nazionali e che tutti le rispettino. Questo è il punto d’interesse comune di tutti gli Stati membri. Per i Paesi Bassi è fondamentale che con questo accordo si proceda verso una riduzione del debito ambiziosa e sostenibile”.

Soddisfatto comunque Giorgetti. “Abbiamo partecipato all’accordo politico per il nuovo patto di stabilità e crescita con lo spirito del compromesso inevitabile in un’Europa che richiede il consenso di 27 Paesi. Ci sono alcune cose positive e altre meno. L’Italia ha ottenuto però molto e soprattutto quello che sottoscriviamo è un accordo sostenibile per il nostro Paese volto da una parte a una realistica e graduale riduzione del debito mentre dall’altra guarda agli investimenti specialmente del Pnrr con spirito costruttivo. Ci sono regole più realistiche di quelle attualmente in vigore. Le nuove regole naturalmente dovranno sottostare alla prova degli eventi dei prossimi anni che diranno se il sistema funziona realmente come ci aspettiamo. Consideriamo positivo il recepimento delle nostre iniziali richieste di estensione automatica del piano connessa agli investimenti del Pnrr, l’aver considerato un fattore rilevante la difesa, lo scomputo della spesa per interessi dal deficit strutturale fino al 2027”.


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