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Flessibilità e investimenti, Giorgetti scopre le carte in vista dell’Ecofin

A 48 ore dalla riunione che potrebbe decidere le sorti dei conti pubblici italiani, il ministro detta la linea del governo, dalla quale Roma non arretrerà. Sull’aggiustamento dei disavanzi servirà la massima elasticità, perché bisognerà garantire gli investimenti per la crescita. La strada, comunque, rimane in salita

A voler essere realisti, l’ottimismo sta un po’ svanendo. Con la netta sensazione che nemmeno l’Ecofin straordinario del prossimo 7 dicembre possa portare in dote un accordo politico sul Patto di stabilità, aggiornato ai tempi della guerra e dell’inflazione. Premessa. Tutte le economie avanzate vogliono il superamento definitivo di Maastricht e dei suoi parametri. Lo vuole la Germania, sempre falco ma ben conscia della recessione in cui è piombata. E lo vuole la Francia, che ha un debito più alto dell’Italia, seppur più sano di quello tricolore. Ma, soprattutto, è l’Italia a pretendere un calcio definitivo a un passato che non deve ritornare, pena la micidiale compressione dei conti pubblici.

IL REBUS DEL DEFICIT

Un accordo tra Parigi e Berlino potrebbe blindare lo schema delle nuove regole fiscali, da un lato perché Parigi ha una traiettoria del debito poco compatibile con l’approccio tedesco (la manovra francese, tanto per ricordarlo, è stata da poco bocciata dalla Commissione europea), dall’altro lato perché Berlino è bloccata dai problemi interni causati dalla sentenza della Corte costituzionale sui fondi emergenziali fuori bilancio.

La posizione dell’Italia, a questo punto, diventa decisiva per il fronte dei Paesi mediterranei, quelli per intendersi più indebitati. La bozza ad oggi sul tavolo dell’Ecofin, prevede l’obbligo per i Paesi maggiormente indebitati di rientrare della propria esposizione in quattro o sette anni, ma nell’ordine dell’1% annuo e dello 0,5% per quelli con debito al di sotto del 90% del Pil, come nel caso tedesco. Il nocciolo è però il deficit. La Germania vuole a tutti i costi un aggiustamento dell0 0,5% annuo, per portare l’asticella al di sotto del 3% entro un tempo ragionevole, più o meno lo stesso concesso per il debito.

Qui la strada per l’Italia si fa stretta. Non solo perché il prossimo anno Roma spenderà molto di più in interessi sul debito, sull’onda dei rialzi dei tassi voluti dalla Bce, mettendo Roma nelle condizioni di chiedere maggiore elasticità. Ma anche perché una delle condizioni dell’Italia è che se bisogna ridurre il disavanzo dello 0,5% all’anno, occorre tenere fuori da tale calcolo gli investimenti per la crescita. E su questo la Germania ha i suoi dubbi.

LA LINEA ITALIANA

Ed è proprio quando mancano 48 ore alla riunione dei ministri dell’Economia e della Finanze che Giancarlo Giorgetti ha puntellato la linea italiana, ascoltato in un’audizione molto attesa davanti ai deputati e i senatori delle Commissioni Bilancio. La quale si può riassumere così: qualunque accordo esca dall’Ecofin, dovrà recare specifiche clausole di salvaguardia, tra cui lo sganciamento degli investimenti per la crescita dal deficit, che evitino uno stritolamento dei conti italiani. Secondo, sul deficit servirà la massima flessibilità possibile. E al momento non pare esserci.

“Il negoziato sulla nuova governance economica europea non ha finora portato alla definizione di un quadro condiviso e nuovi vincoli rispetto alle proposte della Commissione porterebbero ad un esito non pienamente conforme agli obiettivi della riforma”, ha chiarito Giorgetti. “La previsione di ulteriori vincoli rispetto a quanto proposto dalla Commissione potrebbe portare a un esito non pienamente conforme agli obiettivi della riforma” ed in particolare ad “un assetto caratterizzato da semplicità e da un maggiore equilibrio tra gli obiettivi di crescita economica, di promozione della transizione ecologica e digitale, nonché di sostenibilità del debito pubblico”.

La posizione italiana è insomma chiara. Ridurre l’elevato debito pubblico del Paese, in modo realistico e possibilmente sostenibile, è obiettivo insindacabile del governo, ma allo stesso tempo vanno tenute in considerazione le esigenze di sostenere la crescita, che sarebbero compromesse da vincoli eccessivi e regole troppo stringenti. “Più volte ho avuto modo di argomentare come il peso degli interessi che paghiamo sul debito pubblico abbia ormai raggiunto livelli molto elevati, assorbendo risorse che potrebbero essere più utilmente destinate a interventi diretti a consolidare il nostro tessuto economico e sociale”, ha rimarcato il ministro.

INVESTIRE PER NON MORIRE

C’è un altro caposaldo della strategia italiana da portare all’Ecofin: gli investimenti. “Il nuovo Patto di stabilità che si sta discutendo nelle sedi europee deve dare spazio agli investimenti green e nel settore del digitale. Abbiamo posto come condizione imprescindibile che la nuova governance economica dia sufficiente spazio agli investimenti per la transizione digitale ed ecologica e, nel primo ciclo di applicazione delle nuove regole, consenta a Paesi quali l’Italia, che hanno concordato ambiziosi Programmi di Ripresa e Resilienza, di poter accedere all’estensione del periodo di aggiustamento a sette anni. Ciò senza l’imposizione di ulteriori condizionalità, ma solamente in base all’impegno dello Stato membro a continuare lo sforzo di riforma e di investimento intrapreso con il Pnrr”.

IL FATTORE TEMPO

Attenzione poi al fattore tempo. Come detto, la bozza di riforma del Patto, prevede per gli aggiustamenti di debito e deficit, un periodo compreso tra i quattro e i sette anni. Bene, per l’Italia, non ci sono dubbi, quattro sono troppi pochi. “Nel primo ciclo di applicazione delle nuove regole del Patto a Paesi come l’Italia, che hanno concordato ambiziosi Programmi di ripresa e resilienza dovrebbe essere consentito di accedere all’estensione del periodo di aggiustamento a sette anni. Ciò senza l’imposizione di ulteriori condizionalità, ma solamente in base all’impegno dello Stato membro a continuare lo sforzo di riforma e di investimento intrapreso con il Pnrr”, ha chiarito Giorgetti.

“Con riferimento al primo ciclo di applicazione delle nuove regole, abbiamo, inoltre, chiesto che il mantenimento degli sforzi legati all’implementazione del Pnrr e l’utilizzo dei fondi europei nel 2025 e 2026 possano giustificare una modulazione degli sforzi fiscali annuali differente rispetto all’aggiustamento lineare previsto dalla clausola di no-backloading“.

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